Scuola, in Italia i docenti meno pagati. “Per un maestro italiano servono 455 euro in più”

Dossier della Flc Cgil: “Per raggiungere i livelli europei necessario un aumento di 363 euro per un professore delle medie e 439 euro per le superiori”. Piano in 14 punti per colmare le distanze. La Camusso: “Apriamo il dibattito in tutto il Paese”

ROMA  Per guadagnare quanto un collega d’Europa un insegnante di infanzia e delle elementari dovrebbe avere – domani – un aumento in busta paga di 455 euro il mese. Un professore delle medie dovrebbe veder crescere lo stipendio di 363 euro, il collega delle superiori di 439 euro. Servirebbero, solo per questo, 6,8 miliardi. La Cgil, ramo Federazione dei lavoratori della Conoscenza, a convegno all’Auditorium di via Rieti ha illustrato la sua idea di scuola, “La scuola che verrà” appunto: perno del Paese e sua proiezione sul futuro. Lo ha fatto partendo dallo status quo. Della docenza, in particolare.

Seguendo il Conto annuale 2016 redatto dalla Pubblica amministrazione, si vede come la scuola è passata da un milione e 128 mila occupati nel 2008 (docenti, dirigenti scolastici, personale amministrativo) a un milione e 13 mila nel 2012 (115 mila persone espulse) per risalire a un milione e 116 mila nella stagione 2016 recuperando nelle ultime quattro stagioni quasi tutte le uscite delle precedenti quattro (il saldo negativo è di 12 mila unità). A otto anni di distanza la “Buona scuola” ha quasi fermato l’emorragia aperta dai tagli della Legge Gelmini: le forti assunzioni di docenti, però, non sono state seguite da un piano di stabilizzazione degli amministrativi. Le segreterie, oggi, sono l’area di crisi degli istituti scolastici italiani. A otto anni di distanza il taglio sui numeri del personale è del 10,6 per cento. Su un piano finanziario si è passati da un costo di 46,5 miliardi l’anno nel 2008 a 41,6 nel 2016: cinque miliardi di euro in meno per la scuola che rappresentano un saldo negativo del 10,7 per cento. In linea con la diminuzione degli occupati.

Il dato più importante, che discende dai primi due, lo abbiamo visto: il calo degli stipendi dei docenti italiani. E l’impietoso paragone con il resto dell’Europa avanzata. Solo nel 2009, penultimo contratto appena firmato, la retribuzione media del comparto era pari a 30.570 euro lordi. Nei sette anni successivi è scesa (con due piccoli recuperi nel 2011 e nel 2015) fino a toccare il pavimento nel 2016, ultimo anno rilevato: 28.403 euro lordi. Una perdita di 2.167 euro, il 7,1 per cento. Quest’anno, febbraio 2018, è arrivato il rinnovo del contratto della scuola e ha consentito una leggera crescita delle buste paga: 96 euro l’aumento medio per un docente, 84,5 euro per un amministrativo. Sono però le comparazioni successive, queste tratte da “Education at glance” dell’Ocse, a lasciare addosso alla scuola italiana l’idea del disinteresse collettivo. Nei tre blocchi di carriera di un professore di scuola secondaria di primo grado (stipendio iniziale, dopo 15 anni di attività, al massimo dell’anzianità) l’Italia è sotto la media Ocse (i Paesi industrializzati) e sotto la media Ue a 22: nel salario d’ingresso siamo diciannovesimi dietro l’Irlanda (prima nazione è, nettamente, il Lussemburgo, quindi Svizzera e Germania, quinta la Spagna). Nella progressione della carriera ci superano altri dieci Paesi (Giappone e Corea, ma anche Costa Rica e Colombia). La situazione statistica andrà aggiornata comprendendo nell’analisi sia il rinnovo del contratto 2018 che i tentativi di premio al merito inseriti dalla Legge 107 da luglio 2015. In generale, in molti Paesi le carriere sono decisamente più dinamiche, gli incrementi più consistenti.

Il successivo rapporto Ocse, illustrato dalla Flc Cgil, dice ancora che tra il 2010 e il 2015 in Italia – lo abbiamo visto – gli stipendi di un docente (scuola secondaria di primo grado con 15 anni di servizio) sono diminuiti e dice poi che in Francia, Giappone e Belgio hanno conosciuto una perdita meno consistente, mentre in Gran Bretagna, Scozia, Austria, nella Finlandia presa sempre ad esempio scolastico, ovviamente in Grecia sono decresciuti maggiormente. Ci sono nazioni che hanno continuato a investire, anche durante la crisi economica, sulla loro classe docente: in Ungheria (straordinariamente), quindi in Israele, Turchia, Portogallo, Germania, in Corea, Danimarca, Norvegia e Spagna.

In Italia un docente di scuola primaria con 15 anni di servizio guadagna un terzo esatto in meno di un laureato in altro settore. Un professore delle medie inferiori guadagna il 72 per cento, uno delle superiori il 76 per cento. In Germania il rapporto è uno a uno, in Spagna il livello medio delle retribuzioni scolastiche è lievemente superiore alla media degli altri laureati. Per arrivare agli stipendi Ue (a 22 Paesi) un docente d’infanzia ed elementari di una scuola italiana dovrebbe conoscere un aumento di 455 euro (il 20,5 per cento in più), un professore di medie dovrebbe veder crescere la busta paga di 363 euro (più 14,9 per cento) e uno delle superiori di 439 euro (più 17,6 per cento). Servirebbero, solo per questo, 6,8 miliardi (la Buona scuola, tra il 2015 e il 2017, ne ha investiti quattro).

D’altro canto – è questa è l’aliquota più preoccupante e segnale di miopia politica – la percentuale di spesa per la scuola rispetto all’intera amministrazione pubblica in otto anni (2005-2013) è scesa dall’8,1 per cento al 7,3: quattro punti percentuali sotto la media Ocse, due punti e mezzo sotto la media Ue. La spesa per studente in Italia (dalla scuola primaria alla secondaria) è pari a 8.926 dollari quando la media europea è di 795 dollari superiore.

La Cgil propone uno schema di finanziamento progressivo per i prossimi sei anni (2019-2024) costruito su quattordici punti: prevede, solo per queste voci, un impiego che parte da 3,5 miliardi per arrivare a 20,6 miliardi nel 2024. Tra le voci, va ricordato, ci sono: l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 18 anni, la generalizzazione della scuola dell’infanzia, il ripristino del tempo pieno (e dei moduli) nella scuola primaria, il ritorno del tempo prolungato nella secondaria di primo grado, laboratori nelle superiori e “revisione radicale” dell’attuale modello di Alternanza scuola lavoro, quindi riduzione degli alunni per classe e un investimento massiccio sull’istruzione per gli adulti.

Susanna Camusso, segretaria nazionale Cgil, dice: “Discutere della scuola che verrà significa discutere del futuro che immaginiamo. La nostra sfida è alta. Apriamo nel Paese un dibattito sull’istruzione”. Il segretario della Federazione lavoratori della conoscenza, Francesco Sinopoli, aggiunge: “Lo studio, la scuola e l’università sono parte di un riscatto sociale, strumenti indispensabili per la comprensione del mondo. Ma la scuola da sola non può colmare il più grande divario territoriale d’Europa e non può assolvere alla sua missione senza un grande progetto nazionale mirato a superare i differenziali degli stessi sistemi territoriali.
Si deve rivedere l’autonomia e investire davvero. Sulla scuola apriamo un’assemblea costituente”.

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