di Francesco Sinopoli, Seg. Gen FLC CGIL –
Pubblicato su Huffington Post
Tra i tanti errori della riforma della scuola, la 107 del 2015, contro la quale continueremo a batterci per l’abrogazione, anche in vista della campagna elettorale in cui chiederemo ai partiti politici di assumere una posizione netta, ve n’è una che sta suscitando la mobilitazione indignata di studenti, docenti, famiglie: la cosiddetta “alternanza” scuola-lavoro. Il 24 novembre sono previste centinaia di manifestazioni in tutta Italia, dopo il successo della giornata “contro lo sfruttamento” di una settimana fa. Ora, organizzano gli Stati generali dello sfruttamento. Le rivendicazioni sono chiare: uno Statuto che garantisca gli studenti in alternanza e che impedisca ad aziende che sfruttano i lavoratori o inquinano l’ambiente, di stringere accordi con le scuole; tutele e formazione durante i tirocini; un’istruzione gratuita e di qualità per tutti e tutte.
E noi come Federazione dei lavoratori della conoscenza della Cgil sosteniamo le loro giuste rivendicazioni e le loro mobilitazioni. Le ragioni che studenti, docenti e famiglie portano all’attenzione dell’opinione pubblica sono vere e legittime: l’alternanza scuola-lavoro, così come congegnata dalla legge 107, non funziona, e non funzionerà mai, e si rischia di trasformare gli studenti in manodopera da sfruttare, gratuitamente, come denunciano molti loro racconti.
Perché siamo contrari a questa alternanza e perché chiediamo di ripensarla, nella più generale fase di necessaria riscrittura della riforma della scuola, a partire dalla Costituzione? Le ragioni sono molte. Cercherò di riassumerne le più evidenti e importanti, che derivano dall’esperienza quotidiana di studenti e docenti.
Si tratta di questioni sulle quali la Flc Cgil non solo ha proposto uno dei quesiti del referendum abrogativo sul quale sono state raccolte quasi 500 mila firme, ma soprattutto sulle quali occorre riaprire, anche metodologicamente, un dibattito pubblico, che induca l’attuale ministra e il Miur a rivedere l’intera impostazione della pessima riforma. Intanto, a partire dal nome che si dà a questa esperienza degli studenti nel mondo del lavoro, che comunque riteniamo indispensabile nel loro percorso formativo. Alternanza è nome sbagliato, che nella prospettiva della 107 vuole civettare l’esperienza tedesca. Sarebbe meglio introdurre un nuovo modello per quella esperienza formativa che relaziona la scuola col territorio di cui il mondo del lavoro rappresenta un elemento di fondamentale importanza: un modello fondato sulla “istruzione integrata”, molto più efficace non solo sul piano della semantica, ma perché rende chiara come la finalità dell’istruzione sia innanzitutto quella di sviluppare tutte le potenzialità dell’individuo e della società, nel lavoro, così come in ogni altro ambito.
E già questa ridefinizione semantica e paradigmatica potrebbe essere una significativa prima risposta a coloro che in queste settimane si sono accorti del fallimento di quanto previsto dalle legge, con le esperienze finora naufragate, e propongono patti “per un’alternanza di qualità”, come recentemente ha fatto la stessa Confindustria.
Non vi può essere “buona” alternanza, e “di qualità”, se non si cambiano i paradigmi ideologici che la sottendono. Non vi può essere “buona alternanza” se il paradigma di partenza resta quello di formare “il capitale umano”, altra pessima espressione, offensiva della missione costituzionale della scuola e degli stessi studenti. Solo se usciremo da questa ideologia contenuta nella 107, riusciremo a orientare l’opinione pubblica e il dibattito pubblico su una più corretta interpretazione della istruzione integrata e del rapporto, complicatissimo, tra territorio, mondo del lavoro e mondo della scuola.
Sollevo qui, dunque, alcune delle questioni principali aperte. La prima questione: era proprio necessario rendere obbligatorie le ore di alternanza scuola-lavoro (400 per il triennio dei tecnici e professionali, e 200 per il triennio dei licei scientifici e classici)? Era davvero necessario trasformare l’alternanza da metodologia didattica in materia curricolare, tanto da entrare perfino nell’esame di maturità? L’alternanza scuola-lavoro è stata concepita in modo del tutto avulso dai bisogni conoscitivi e formativi degli studenti del terzo Millennio, e senza un reale confronto con le scuole e con le parti sociali. Si è voluto trasformare un’esperienza di enorme valore per un milione e mezzo di studenti in uno spot per la riforma (come non ricordarne la presentazione in pompa magna, il 18 ottobre 2016, con le grandi aziende, definite “campioni dell’alternanza”? Tra le aziende coinvolte e giudicate “campioni dell’alternanza” vi erano proprio alcune di quelle contestate dagli studenti). Poi, sono arrivati, a decine di migliaia, i racconti degli studenti, con quel carico di amarezze, delusioni (verso il mondo degli adulti), senso di inutilità. Poi sono arrivate le notizie di cronaca sugli abusi nella prassi dell’alternanza, sia relativi a vere e proprie pratiche di sfruttamento, sia relativi a ricatti sessuali, verso le studentesse.
La seconda: il punto però non è la mancanza di controllo (come invece ritiene la ministra Fedeli, per la quale basta una piattaforma digitale per denunciare gli abusi per fare in modo che spariscano), ma proprio l’obbligo di effettuare un numero preciso di ore, che costringe gli stessi studenti a cercarsi un’azienda, un’impresa commerciale, un luogo (parrocchie, enti di beneficenza, enti pubblici, ecc.) in cui poter fare esperienza di alternanza, senza badare ai criteri e ai progetti formativi, quando ci sono. Il nodo di una specializzazione produttiva orientata a merci a basso contenuto di sapere e innovazione è una delle cause della facile deriva dell’alternanza così come imposta dalla legge 107 verso forme di sfruttamento. Se i margini di profitto delle imprese devono crescere facendo leva sul costo del lavoro piuttosto che sull’innovazione, una alternanza così fatta diventa l’ennesima opportunità per assecondare questo modello produttivo, che non è neppure competitivo sul piano internazionale.
Infine, fare le fotocopie in un ufficio pubblico o sparecchiare in noti ristoranti sono spesso considerati dagli studenti “un male necessario”, non una scelta formativa efficace. Come far uscire l’alternanza dalla considerazione di “male necessario” dovrebbe essere il tarlo continuo non solo nostro, dei sindacati, dei dirigenti scolastici, dei docenti e degli studenti, ma soprattutto dell’opinione pubblica e del governo. L’unica soluzione, ora, è quella di fermarsi, ripensare l’alternanza, attribuirle un nuovo nome e un nuovo modello di riferimento educativo (istruzione integrata, ad esempio) e bloccarne subito l’obbligatorietà oraria e la trasformazione in materia curriculare, evitando così di buttare via il bambino con la tanta acqua sporca.
Queste sono alcune delle rivendicazioni nostre, degli studenti e dei docenti. Questi, secondo noi, i passaggi fondamentali per trasformare un’esperienza sbagliata in un’esperienza formativa virtuosa.