Sospendere l’obbligo di videoregistrazione delle lezioni: lettera di Francesco Sinopoli ai Rettori

La FLC CGIL, nella figura del suo segretario generale, ha scritto nei giorni scorsi ai Rettori delle università italiane, per sottolineare l’importanza di sviluppare nella comunità universitaria un confronto approfondito sulla didattica on line e le sue forme, per salvaguardare diritti e libertà dell’ambiente universitario, per precisare limiti e problemi relativi alla diffusa installazione di impianti audiovisivi nelle aule, dai quali deriva anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività di lavoratori e lavoratrici, come di studenti e studentesse. Una problematica oggi diffusa, in seguito alle indicazioni previste dall’allegato 18 del DPCM del 7 agosto 2020 e dalla scelte di diversi Atenei di prevedere la registrazione obbligatoria delle lezioni. Di seguito il testo della lettera.

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Ai Rettori delle Università Italiane
Loro Sedi

E p.c.

Al Ministero dell’Università e della Ricerca

Al presidente del CUN e al CUN

Trasmissione esclusivamente via posta elettronica certificata

OGGETTO: richiesta di sospensione dell’obbligo di videoregistrazioni delle lezioni

Magnifici Rettori (e per conoscenza, egregio Signor Ministro e signor Presidente),

in queste settimane i corsi universitari stanno riaprendo con modalità diversificate, vista l’enfatizzazione dell’autonomia e l’assenza di indicazioni nazionali con cui si è affrontata l’emergenza[1]. Ogni Ateneo ha cioè adottato scelte diverse non solo in relazione alle sue condizioni (dimensioni, spazi e organici), ma anche definendo diversi indirizzi didattici. Una disarticolazione del sistema universitario, che prevede ordinamenti nazionali, forse comprensibile nella fase acuta dell’emergenza (per organizzare una risposta immediata), ma che diventa ingiustificabile con la ripresa autunnale dei corsi.

L’allegato 18 del DPCM del 7 agosto 2020 (art 1, comma 6, lettera s) ha stabilito un unico principio didattico nazionale: “ove possibile, la didattica verrà erogata contemporaneamente sia in presenza sia online”Condividendo la scelta di riaprire le attività in presenza negli Atenei, e anzi avendovi contribuito nella definizione dei protocolli di sicurezza, riteniamo però un errore questa indicazione[2]. La valutazione sull’uso di questa soluzione deve infatti esser lasciata alla libertà della docenza (garantita dall’articolo 33 della Costituzione, relativa non solo a cosa si insegna ma anche a come lo insegna) e comunque deve esser strettamente limitata alla fase di emergenza, evitando ogni sua eventuale codifica strutturale.

In ogni caso, tale indicazione (e il relativo Fondo per le esigenze emergenziali) ha incentivato l’installazione di impianti audiovisivi e altri strumenti nelle aule (microfoni ambientali, sistemi integrati con PC e lavagne telematiche) dai quali deriva anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività di lavoratori e lavoratrici, come di studenti e studentesse. Se è vero che tale modalità è giuridicamente possibile[3], crediamo però che non sfugga a nessuno il particolare profilo del lavoro di insegnamento nelle università. Non a caso in tutti gli Statuti delle Università, statali e non statali, ricorre un richiamo all’articolo 33 della Costituzione. Così come crediamo non sfugga a nessuno che il corrispettivo di questa libertà sia la libertà di apprendimento, cioè la possibilità da parte di studenti e studentesse di vivere le Università come spazi di espressione del proprio pensiero, senza il pericolo che opinioni e interventi in aula siano soggetti a vigilanza. È per noi allora fonte di perplessità e preoccupazione che l’introduzione nelle aule universitarie di impianti audiovisivi avvenga in uno stato di eccezione (un DPCM emergenziale), senza alcuna riflessione e alcun approfondimento critico da parte della comunità universitaria[4].

Inoltre, dobbiamo segnalare che alcune Università hanno emesso decreti o regolamenti che obbligano i propri docenti a videoregistrare le lezioni. Tutte le preoccupazioni trovano qui occasione di ulteriore e significativo aggravamento. La conservazione delle registrazioni per lunghi periodi di tempo, su database dell’Università spesso in gestione a soggetti privati (anche stranieri e quindi non strettamente soggetti alla normativa italiana o europea), solleva infatti molteplici criticità. In primo luogo, come detto, in ordine al possibile controllo del lavoro docente e quindi alla libertà di insegnamento[5]. In secondo luogo, in ordine al possibile controllo di studenti e studentesse, e quindi alla libertà di apprendimento[6]. In terzo luogo, in relazione alla privacy e della normativa sul trattamento dei dati[7]: il Garante della Privacy ha sicuramente liberato le Università dal dover acquisire un consenso informato e discrezionale per le lezioni in streaming [8], ma ci appare discutibile l’estensione sic et simpliciter di questo dispositivo alle registrazioni visto che tale possibilità, per la normativa italiana ed europea, è limitata all’esercizio di attività personali o domestiche[9]. Inoltre, è da tenere in considerazione che l’uso dell’immagine fisica delle persone, sia del docente sia degli studenti, è un diritto personalissimo e inalienabile: per questo risulta a nostro parere difficile imporre a docenti e studenti un obbligo di videoregistrazione della propria immagine[10]. In ogni caso è dovuta un’adeguata, specifica e completa informativa sul trattamento dei dati e sulle tempistiche di conservazione delle immagini, che in molte realtà non pare esser stata ancora fornita.[11] Infine, si pone un problema relativo al diritto di proprietà delle lezioni universitarie. Una lezione è indiscutibilmente un’opera d’ingegno, e come tale è protetta ai sensi di legge[12]. Ne è protetto cioè il diritto morale (assoluto, inalienabile e imprescrittibile), non in discussione in questo caso, ma anche il diritto patrimoniale (riproduzione, distribuzione, prestito o noleggio). Diversi atenei riconoscono infatti che l’Università non può vantare diritti sulle lezioni e sul relativo materiale didattico. Se è consentita dalla normativa, come abbiamo visto, la registrazione per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico, si pone su un piano oggettivamente diverso la registrazione ufficiale da parte di un’istituzione, che rimane a disposizione nei propri archivi per un tempo indefinito (e stabilito autonomamente dai propri organismi) e che viene messa a disposizione di soggetti plurimi (e stabiliti autonomamente dai propri organismi). Inoltre, si pone il problema connesso all’uso, in lezioni di molteplici discipline e indirizzi, di materiali soggetti a copyright[13].

In questo quadro, anche per evitare una moltiplicazione incontrollata di conflittualità e di contenziosi (nella comunità accademica e nei confronti di terzi), vi chiediamo di sospendere immediatamente tutti gli obblighi connessi alla videoregistrazione delle lezioni, e di garantire in ogni caso privacy e protezione dell’immagine di studenti e studentesse.  Nel contempo auspichiamo che rispetto alla didattica online vengano approfonditi ambiti, limiti e problematiche aprendo un confronto con l’insieme della comunità universitaria e con le Organizzazioni Sindacali.  Ci auguriamo inoltre che i tavoli di confronto con il MUR, a cui il Ministro si è impegnato e che dovrebbero a breve avviarsi, siano occasione per affrontare anche questa questione, in relazione alle indicazioni e alle normative nazionali.

Certi dell’attenzione che sarà prestata a questi temi e alla richiesta di avvio di tavoli di confronto, rinnoviamo i migliori auguri di buon lavoro.


[1] Alcuni Atenei hanno privilegiato la frequenza in presenza delle matricole, altri i corsi di laurea magistrale. Alcuni hanno circoscritto il diritto di frequenza in presenza a precise tipologie di studenti, altri hanno previsto prenotazioni o sorteggi, altri ancora la duplicazione delle aule (con nuovi docenti o in video, con tutor o senza). Alcuni hanno previsto una riduzione del rapporto orario tra didattica in presenza e a distanza, altri non lo hanno fatto, altri ancora hanno previsto attività didattiche interattive (DI).

[2] La lunga esperienza italiana (a partire dall’istituzione di Uninettuno nel 1992), formalizzata anche in precise indicazioni ANVUR, ha sottolineato la scarsa efficacia per l’apprendimento della visione di una lezione (sincrona o asincrona) e quindi l’indispensabilità di affiancarla con altri strumenti (Didattica Erogata e Didattica Interattiva). Tenendo anche conto che la didattica a distanza, indipendentemente dalla DI, prevede un’organizzazione e modalità di insegnamento progettate per questo canale comunicativo: lo streaming delle lezioni in presenza, invece, sovrappone confusivamente due diverse modalità e impone ulteriori limitazioni nell’interazione con un’aula divisa tra ambienti diversi

[3] L’articolo 55 del D. Lgs. n. 165/200 ricorda che “la legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni”. Il comma 2 dell’art 4 della legge 300/1970 (modificato dall’art. 23 del decreto legislativo n. 151/2015, il cosiddetto Jobs Act) prevede nella sua nuova formulazione che per gli “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa” non sia necessario un accordo sindacale o un’autorizzazione dell’Ispettorato nazionale del lavoro.

[4] Come ci stupisce che tale diffusa introduzione, prevista da una norma, sia avvenuta senza un inquadramento nazionale in grado di definirne o limitarne l’uso.

[5] Tenendo conto che la nuova formulazione della legge 300/1972 consente il potenziale uso degli impianti in relazione “a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”, compresi quelli di ordine etico e disciplinare, potrebbe cioè consentire di sviluppare sorveglianze sia sugli aspetti formali del rapporto di lavoro sia potenzialmente sui contenuti delle lezioni.

[6] L’accesso alle registrazioni renderà visibile nel tempo ogni intervento, con l’inevitabile rischio di veder associata la propria immagine pubblica nell’ateneo ad un momento del loro percorso di studi (a una loro opinione o errore).

[7] Anche in relazione al comma 3 dell’art 4 della legge 300/1970.

[8] Provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali del 26 marzo 2020 -“Didattica a distanza: prime indicazioni”: non deve essere richiesto agli interessati (docenti, alunni, studenti, genitori) uno specifico consenso al trattamento dei propri dati personali funzionali allo svolgimento dell’attività didattica a distanza, in quanto riconducibile – nonostante tali modalità innovative – alle funzioni istituzionalmente assegnate a scuole ed atenei.

[9] Garante della privacy, La scuola a prova di privacy, 2016; articolo 71-sexies, Legge 633/41; Cass. Civ., Sez. III, Ord. n. 1250/2018 e Cass. Pen., Sez. V, Sent. n. 41421/2018; art 2, par. 2, lett. c del GDPR 2016/679.

[10] Alcuni atenei infatti prevedono esplicitamente la possibilità di oscurare l’immagine personale, spegnendo la videocamera o condividendo lo schermo.

[11] Segnaliamo poi una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (16 luglio 2020 – causa C-311/18, Maximilian Schrems vs Facebook) che ha ribadito che il trasferimento dei dati personali dei cittadini europei negli Stati Uniti può avvenire solo nel rispetto delle garanzie previste dal GDPR e che tali garanzie non sono attualmente assicurate dalla normativa statunitense (di conseguenza, si deve garantire la loro permanenza sul territorio europeo).

[12] Secondo quanto previsto dall’art. 2575 del codice civile e dall’art. 1 della L. 633/1941.

[13] l’art. 70 della legge 633/1941 infatti prevede la possibilità di usare “a fini di insegnamento o ricerca scientifica”, “il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera”. La riproduzione su materiali videoregistrati pone però evidenti profili problematici, in relazione ai diritti di terzi: non a caso alcuni atenei stanno chiedendo ai singoli docenti di firmare liberatorie sui propri diritti di proprietà che nel contempo prevedono da una parte il mantenimento della loro responsabilità nei confronti di terzi e dall’impossibilità di rivalersi per il risarcimento di eventuali danni morali e materiali causati da soggetti terzi (come da utilizzi non previsti dalla stessa liberatoria).

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