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UNA RICETTA INDIGESTA: TAGLIARE LA SPESA PUBBLICA PER DIMINUIRE LE TASSE – Contributo del Segr. Gen. FLC Roma Est – Valle dell’Aniene

Nel nostro Paese gli effetti combinati della crisi internazionale e di politiche di risanamento sbagliate hanno reso la situazione economicamente e socialmente non più sostenibile. Infatti l’azione economica intrapresa dal governo Berlusconi prima e da Monti dopo non ha determinato alcun impulso verso la crescita ma si è  limitata a cercare di far quadrare i conti  attraverso la riduzione selvaggia e indiscriminata della spesa pubblica,  creando  così anche danni sociali enormi, aumento delle povertà e delle diseguaglianze.
La CGIL  in questi anni ha denunciato  l’iniquità e l’inadeguatezza  dei provvedimenti economici adottati,  indicando  la  necessità  di investimenti per lo sviluppo e la priorità della difesa del welfare  e del lavoro.  I dati di questi anni e le previsioni per il 2013 sul PIL, sull’occupazione, sui consumi delle famiglie non  lasciano spazio a dubbi sull’inefficacia delle politiche economiche fin qui adottate, mentre sempre più evidenti  appaiono gli effetti negativi sulla qualità e quantità dei servizi  pubblici a disposizione dei cittadini, dalla sanità all’istruzione.
Nonostante ciò , in questa campagna elettorale risulta preponderante  e centrale il tema della riduzione delle tasse,  in particolare quello della (auspicabile) eliminazione/riduzione  dell’IMU sulla prima casa.  La copertura finanziaria delle mancate entrate derivante da questo provvedimento, come di altri annunciati, viene da diverse forze politiche collegato al  cosiddetto “proseguimento della politica di contenimento della spesa pubblica”: sia Berlusconi che Monti su questo sono stati inequivocabili!
Non vi è dubbio che la situazione economica e sociale del nostro Paese è particolarmente difficile e su più fronti vanno indirizzate gli sforzi  per uscire dalla crisi, ma  rimane  comunque decisivo il tema posto dall’ equazione “riduzione delle tasse = tagli alla spesa pubblica”, in quanto se tale ricetta verrà attuata saranno inevitabili effetti devastanti sulla qualità dei servizi pubblici, con le immaginabili conseguenze in termini sociali, come certo sarà anche l’acuirsi degli interventi di riduzione del personale e dei livelli retributivi, già fortemente colpiti in questi anni ( e pensare che nel rapporto OCSE sulle retribuzioni riferite all’anno 2008, i lavoratori dipendenti italiani erano già agli ultimi posti, 23 su 30, con un reddito medio di 21.374 dollari  contro la media OCSE di 25739 e la media UE15, di 27793).

Spesa pubblica italiana, quale anomalia?

Dal rapporto OCSE “uno sguardo alla pubblica amministrazione” del 2011 si evidenzia che la spesa pubblica in Italia è pari al 51,8% del pil rispetto al 50,8% dell’area euro e che questo dato comprende l’indebitamento che, con circa 70 miliardi di euro di interessi, è pari all’8,67% del totale della nostra spesa. In  Francia il costo del debito incide per meno del 5%, il 5,25% in Germania, il 6% nella Gran Bretagna e pertanto, al netto degli interessi sul debito, la spesa pubblica italiana risulta inferiore a quella di molti altri paesi europei!
Altro dato significativo, è quello che si ricava dai dati pubblicati nel gennaio 2011 dal Ministero dell’Economia e Finanze ( a cura del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, Servizio Studi Dipartimentale :“La spesa dello stato dall’unità d’Italia anni 1862-2009) che collocano nel 2009 la nostra  “spesa pubblica direttamente legata alla produzione dei servizi” ( tale aggregato ricomprende anche le spese per il personale e quelle per beni e servizi) a circa il 20% del Pil contro il 22% della media UE,  quindi , per stare in media, si dovrebbero spendere circa 30 miliardi di euro in più ( non in meno) !!!
Considerato che questi dati si riferiscono al 2009 e che in Italia in questo ultimo triennio vi è stata una contrazione della spesa pubblica ben superiore alla media degli altri Paesi europei, è facile immaginare che, se si continuasse a tagliare la spesa per i servizi, il divario già ampio rispetto a molti  paesi europei diventerebbe un abisso incolmabile. La situazione critica che vivono i servizi pubblici è fortemente acuita anche dagli sprechi, che sono sostanzialmente rimasti intoccati dai tagli lineari di questi anni,  visto che anche quest’anno la Corte dei Conti li ha quantificati in circa 60 miliardi di euro: recuperarli  con una attenta azione mirata e non con interventi estemporanei e propagandistici, tendenti spesso più a screditare e distruggere che a costruire, potrebbe contribuire non poco a far recuperare qualità ed efficienza a tutto il sistema pubblico.

Quali alternative al taglio della spesa pubblica ?

L’Italia nei vari raffronti internazionali è ai primi posti in poche graduatorie, una delle quali è la stima del reddito evaso rispetto al PIL.  Anche la Commissione Europea, il 30 maggio 2012, evidenzia che “ la lotta all’evasione fiscale richiede ulteriori e risolute azioni in quanto resta ancora una sfida chiave per l’Italia”. I dati pubblicati di recente da “Tax research London” sull’evasione fiscale nei paesi europei,  dati riferiti al 2009 , sono in linea con quelli noti da tempo  e stimano il valore dell’economia sommersa nel nostro paese  in 418 miliardi di euro ( in assoluto il valore più  dell’UE), equivalente  a quasi 181 miliardi di euro non incassati dal fisco!!!!
Confrontando l’evasione fiscale degli altri paesi, si può affermare che se  l’ Italia ( 27% rapporto mancato gettito/ entrate fiscali complessive) avesse un  livello di evasione fiscale simile a quello di Germania (16%), Francia (15%) e Gran Bretagna ( per non parlare degli USA con evasione stimata al 7%), ci sarebbero maggiori entrate per  60/90 miliardi di euro all’anno!!!!
D’altronde l’Anagrafe tributaria nel rapporto 2012 tra tasse e beni di lusso fotografa una situazione che lascia poco spazio a dubbi sulla scarsa efficacia dell’azione di contrasto all’evasione fiscale fin qui intrapresa, ad esempio si può notare come il 42,4% delle barche di lusso (circa 42.000 natanti) risulta intestato a contribuenti che dichiarano di guadagnare fino a 20.000 euro l’anno ed anche che risultano 188.171 auto al di sopra dei 185 kw  intestate a persone che dichiarano meno di 20.000 euro, 518 possessori di aeromobili che dichiarano redditi ai limiti della povertà e che, nella fascia di contribuenti da 20.000 a 50.000 euro, ci sono i possessori del 36,6% delle auto di lusso e del  30% degli aerei privati. Un quadro desolante, come attesta anche il rapporto della Guardia di Finanza sull’evasione nel 2012,   con scontrini non emessi o irregolari che rappresentano circa 1/3 del totale, con  migliaia di evasori totali ( 7500 accertati nel 2012, come nel 2011) e decine di miliardi di euro che finiscono ogni anno all’estero ( 28 accertati nel 2012  e 21 nel 2011), per contro, meno di un miliardo di euro recuperati e 150 arresti per reati tributari in tutto il 2012.
Un’altra alternativa ai tagli ai servizi pubblici  potrebbe essere quella di aumentare le entrate attraverso una patrimoniale. Perché no? In Francia è vigente dal lontano 1989 l’Impôt de solidarité sur la fortune (rimasta sia con governi di sinistra che di destra), imposta progressiva  simile a quella che la CGIL ha proposto in questi anni. Tra l’altro il nostro è un paese complessivamente ricco, con il rapporto tra ricchezza delle famiglie e debito pubblico tra i più alti, di pochissimo inferiore a quello  tedesco e, dati della Banca d’Italia, tale ricchezza risulta essere  distribuita anche in maniera fortemente diseguale, con il 10% delle famiglie che detiene il 44,5% della ricchezza. Quindi una patrimoniale che andrebbe ad interessare esclusivamente la parte ricca della popolazione produrrebbe un gettito importante da destinare allo sviluppo ed al lavoro, un atto dovuto, un barlume di equità rispetto ai settori sociali che in questi anni hanno pagato il prezzo maggiore della crisi.
Recupero del 50% dell’evasione fiscale, patrimoniale e se a ciò si aggiungesse anche il recupero della metà dei soldi persi per sprechi nella pubblica amministrazione e per la corruzione, stimati dalla Corte dei Conti rispettivamente in 60 e 80 miliardi di euro, si potrebbe contare su una quantità di risorse tali da poter guardare al futuro con un po’ di ottimismo, nonostante il nuovo patto di stabilità  europeo  imponga all’Italia enormi sacrifici per i prossimi 20 anni (riduzione del debito a partire dal 2015 in misura pari a un ventesimo annuo della quota che, in termini assoluti, eccede il 60% del PIL, cioè, allo stato attuale, circa 40 miliardi l’anno).

Ritornando alle promesse elettorali di questi giorni, è utile ricordare che nel maggio 2008 uno dei primi atti del governo Berlusconi per coprire le mancate entrate dovute all’abrogazione dell’ICI sulle seconde case fu quello di  tagliare il fondo ordinario delle Università, che quest’anno, taglio dopo taglio è diventato per la prima volta inferiore  alle spese per la retribuzione del personale di ruolo in servizio: nella situazione in cui hanno portato i servizi pubblici, dalla scuola alla sanità, dalle università agli enti di ricerca, il prossimo taglio promesso cosà comporterà?
Per non scoprirlo c’è solo un modo, utilizzare tutte le nostre energie nei prossimi giorni per  contribuire all’affermazione di un voto utile per il cambiamento.

Pino Di Lullo

Segr. Gen. FLC CGIL

Roma Est – Valle dell’Aniene

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