Il 3 aprile 2019 con ordinanza n. 4336 il Tar del Lazio aveva rinviato pregiudizialmente alla Corte di Giustizia Europea il caso di un ricercatore a tempo determinato di tipo A richiedente la stabilizzazione presso il proprio ateneo in concomitanza con il rinnovo biennale del proprio rapporto di lavoro, evidenziando alcuni profili di criticità: il possibile ricorso abusivo da parte degli Atenei italiani, a seguito dell’applicazione della legge 240/2010, di forme di contratti a tempo determinato e la preclusione agli stessi di meccanismi di stabilizzazione e trasformazione in rapporti di lavoro a tempo indeterminato.
Alla luce di ciò la Federazione Lavoratori della Conoscenza – CGIL nonché la stessa Confederazione Generale Italiana del lavoro CGIL hanno depositato congiuntamente presso il Tar Lazio un atto finalizzato a intervenire nel suddetto procedimento per richiedere al giudice amministrativo di partecipare alla discussione che si terrà in Corte di Giustizia; avviando così la Campagna “Restiamo in Contratto”, finalizzata a promuovere un’azione legale presso i Tar regionali di competenza a tutela del diritto alla stabilizzazione.
Questa campagna nasce sulla base di un lavoro e battaglie che da diversi anni la FLC CGIL conduce per l’inclusività contrattuale dei precari e l’estensione universale di diritti e welfare.
Dal 2010, con l’approvazione della legge 240/10, la Legge Gelmini, la ricerca e la didattica universitaria hanno subito una crescita esponenziale in termini di precarietà e sfruttamento, di espulsione di massa dal sistema di tante e tanti, andati all’estero dopo anni di investimento personale.
Il 3 Giugno scorso è stata pubblicata la pronuncia della Corte di Giustizia in merito alla questione pregiudiziale sottoposta dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sulla normativa che disciplina le assunzioni del personale ricercatore a tempo determinato presso le università italiane. Entrando nel merito della questione, la Corte di Giustizia afferma che la stipula di un contratto di lavoro a tempo determinato, quale il contratto di tipo A, non rientrerebbe nell’ambito della clausola 5 punto 1 dell’accordo quadro e, quindi, non sarebbe coperto dalla direttiva comunitaria che riguarda il sanzionamento di comportamenti da parte dei datori di lavoro che reiterano nel tempo l’uso di contratti di lavoro precari. Riconoscendo invece una coerenza della legge n. 240/2010 nel prevedere una durata del contratto a tempodeterminato di tipo A e un successivo contratto di tipo B con la clausola 5 dell’accordo quadro che impone agli Stati membri di adottare almeno una delle misure previste per impedire l’abuso nella reiterazione dei contratti a termine.
Questa pronuncia non è il risultato che ci attendevamo ma allo stesso tempo siamo altresì convinti della validità delle nostre azioni e della battaglia che abbiamo portato avanti in questi anni e che continueremo. Non intendiamo arrenderci dinanzi a ciò che riteniamo giusto e oggi più che mai necessario: abbiamo visto in questi anni crescere esponenzialmente il numero di contratti precari e privi di tutele all’interno dei nostri atenei. Oggi più della metà dei lavoratori e delle lavoratrici delle università italiane sono assunti con contratti a tempo determinato o parasubordinati con enormi differenze in termini di diritti e tutele e spesso senza una prospettiva reale di stabilizzazione.
Questa situazione è insostenibile per le vite di assegnisti di ricerca, borsisti, docenti a contratto e ricercatori a tempo determinato che ogni giorno mettono le loro competenze al servizio delle università e della ricerca italiana, ma anche per il sistema universitario che, nel suo complesso, subisce tali ripercussioni su didattica e ricerca nonché il perdurare di una situazione di sottofinanziamento generale.
Ci sembra ancor più importante rimarcare le nostre posizioni e proposte, portate avanti a partire dalla prima bozza della piattaforma Ricercatori determinati. In questi mesi sarà discussa una proposta di modifica del reclutamento universitario. La proposta di legge appena approvata alla Camera, e prossima alla discussione in Senato, non ha per noi elementi di novità in grado di smantellare un sistema di reclutamento che ha prodotto un accentuato aumento di forme di contratti precari ma, anzi, non fa che reiterare le storture già presenti nella legge Gelmini. Vengono mantenute figure contrattuali parasubordinate e senza diritti, viene ipotizzato un percorso lungo quasi venti anni prima di giungere a una posizione di ruolo, assente un percorso transitorio e privo di finanziamenti all’Università che, invece, avrebbe bisogno subito di un bando di almeno 20.000 posizioni di ruolo.
L’ennesima riforma a costo zero e con regole sbagliate che determinerà una ulteriore espulsione di massa di migliaia di precari e un abbassamento delle tutele per i ricercatori futuri.
Come FLC CGIL siamo consapevoli che la campagna “Restiamo In Contratto” sarebbe stata uno dei possibili strumenti da utilizzare e una delle strade da percorrere per far valere le nostre convinzioni. Alla luce della pronuncia della Corte di Giustizia e al fine di tutelare tutti i ricorrenti che hanno aderito alla vertenza riteniamo che non vi siano i presupposti per proseguire con l’azione legale intrapresa dinanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali, in quanto i giudici amministrativi saranno tenuti ad applicare alla lettera quanto affermato dalla Corte. In considerazione di ciò, il nostro legale invierà a tutti coloro che hanno avviato il ricorso una mail con la richiesta di non proseguire per evitare anche un eventuale condanna al pagamento delle spese legali. Allo stesso tempo, continueremo ad aggredire da ogni fronte possibile, istituzionale e non solo, affinché venga riconosciuto a tutte e tutti il diritto ad un lavoro stabile e dignitoso.