Documento di riflessione delle RSU e dei docenti partecipanti al Convegno territoriale sui BES organizzato da Flc Cgil Roma C.O.L. e Proteo Fare Sapere Lazio il 1 ottobre 2013
Il convegno organizzato sul tema dei BES è stato accolto con grande attenzione da parte delle RSU e dei docenti di Roma C.O.L., la relazione introduttiva tenuta dal dott. Simoneschi sugli strumenti d’intervento per gli alunni con bisogni educativi speciali (D.M. del 27 12 2012), ha visto la partecipazione di molti docenti di ogni ordine e grado i quali hanno ritenuto opportuno condividere un documento allo scopo di far emergere le criticità che tale direttiva determina sul piano concreto in una scuola fondata sul principio dell’inclusività.
Dagli interventi è emerso che:
- il nostro sistema di istruzione, rispetto agli altri Paesi Europei, si è contraddistinto nel garantire a ciascun alunno la piena integrazione scolastica sin dal 1977 con la legge 517 ponendo la Scuola, e non le classi differenziali, come “ luogo di conoscenza, di sviluppo e socializzazione per tutti” andando a rimuovere gli ostacoli che ne impediscono la piena realizzazione come persona attraverso la predisposizione di un contesto basato sull’ accoglienza e sulla personalizzazione dell’apprendimento. Percorsi individualizzati appartengono, pertanto, alla nostra cultura scolastica nella prassi quotidiana della didattica inclusiva, anzi in ciò siamo stati precursori realizzando il diritto all’apprendimento di tutti gli alunni in situazione di difficoltà;
- l’integrazione scolastica con questa direttiva amplia il campo d’intervento e di responsabilità di tutta la comunità educante all’area dei Bisogni Educativi Speciali noti anche come Special Educational Needs a cui appartengono tutti gli alunni con svantaggio socio – culturale , con disturbi specifici di apprendimento, e\o evolutivi specifici e con difficoltà derivanti dalla non conoscenza della lingua italiana ” . La comunità educante è perciò chiamata ad una serie di interventi specifici in cui, secondo il modello diagnostico ICF dell’OMS, è la qualità del “contesto” ad evitare che la differenza si trasformi in disuguaglianza .
A tal proposito è da notare come, anche se risulta condiviso l’impianto pedagogico fondato sul principio di tutela, la Scuola Italiana sia stata depauperata di risorse umane ed economiche a seguito dei tagli decennali che compromettono la realizzazione del diritto allo studio facendo venir meno la qualità del contesto. Lo stesso rapporto OCSE 2013 Education at a glance evidenzia le criticità del nostro sistema scolastico che risulta, rispetto agli altri Paese Europei, l’unico a non aver investito in istruzione. Gli interventi denunciano come gli alunni diversamente abili siano stati privati delle insegnanti di sostegno costringendo le famiglie a ricorrere al Tar per il riconoscimento del diritto allo studio ; non si garantisce loro la continuità indispensabile per un buon successo scolastico per la mancata stabilizzazione dei precari; le classi sono troppo numerose, collocate in aule anguste e pericolose ed è impossibile garantire un clima disteso e accogliente.
Nella scuola Primaria, in particolare, viene posta l’attenzione sullo smantellamento del modello organizzativo del Tempo Pieno che ha determinato la perdita delle ore di compresenza, l’annullamento delle insegnanti “specialiste” della lingua inglese, lo scarso ricorso alle supplenti con la sempre più frequente suddivisione degli alunni in altre classi . Senza dimenticare che le scuole non possono contare sulla presenza sufficiente dei collaboratori scolastici per cui vengono meno la vigilanza e l’assistenza agli alunni .
Gli adempimenti prescrittivi imposti dalla direttiva, quali la costituzione dei GLI, dei PDP e del PAI, si calano in questo “contesto” così si rischia di trasformare il sacrosanto principio d’inclusività in mere procedure burocratiche sottraendo ai docenti ulteriori energie per affrontare la complessità delle classi ed adottare una didattica “inclusiva”;
Altro punto di criticità è il rapporto con le famiglie in quanto si specifica che l’elaborazione del Piano Didattico Personalizzato per l’alunno con Bes presuppone la loro piena condivisione e approvazione. E’ evidente che “la presa in carico” auspicata non si realizza qualora i genitori non concordino con la Scuola rendendo inefficace tutto il lavoro preparatorio
Inoltre nella circolare 8 del 6 marzo si mette in guardia il consiglio di classe o il team docenti nella individuazione, in mancanza di diagnosi o certificazione, di alunni con Bes al fine di evitare contenziosi con le famiglie”. Questo aspetto è di rilevanza fondamentale in quanto si corre il rischio allargare in maniera eccessiva la platea degli alunni con Bes perdendo di vista le potenzialità dell’unità- classe garante della circolarità dell’apprendimento;
In questi giorni tutte le Scuole stanno lavorando (o dovrebbero lavorare) alla predisposizione del Piano Annuale per l’inclusività, da consegnare all’USR entro la prima decade di ottobre, senza che possano ricevere sostegno dai Centri Territoriali di Supporto che secondo la direttiva svolgono un ruolo fondamentale di raccordo, di formazione del personale e di stretta collaborazione con il GLI o il GLIR.
Ancora una volta si denuncia come le Scuole siano lasciate sole in procedure complesse e delicate .
I partecipanti al convegno denunciano come in assenza di criteri scientifici che possano guidare le scuole nel lavoro di individuazione degli alunni con bisogni educativi speciali si potrebbe generare confusione e contraddittorietà.
Si potrebbe giungere alla situazione nella quale alcune manifestazioni di disagio per una scuola costituiscono un BES e per l’altra no. Si capisce come una descrizione arbitraria dei BES, non guidata da criteri di riferimento sicuri, possa diventare facilmente fuorviante, si potrebbero individuare come BES e conseguentemente come destinatari di un piano didattico personalizzato, alunni con un disagio legato a situazioni di difficoltà economica o affettivo-relazionale, in terzo luogo la possibilità di descrivere come un BES le condizioni di deprivazione socio-economica in cui versano alcune famiglie e che naturalmente influiscono sul livello culturale degli studenti, ci sembra che porti con sé una pericolosa deriva: quella di considerare ‘patologia’ la differenza sociale, la malattia la povertà…
Infine ricondurre persino la differenza culturale e linguistica nell’ area dei bisogni educativi speciali, sembra un voler individuare anche in ciò che è potenzialmente una risorsa, necessariamente un problema.
Ci si chiede, inoltre, come affrontare l’aspetto della valutazione in previsione degli esami di Maturità e delle prove Invalsi quando la progettazione educativa didattica del PDP, che, avvalendosi degli strumenti compensativi e delle misure dispensative previste dalla legge 170 \2010, ”è calibrata sui livelli minimi attesi per le competenze in uscita”.
Alla luce di queste osservazioni i partecipanti al dibattito, convengono che la Scuola è continuamente subissata da procedure prescrittive calate dall’alto quali le prove Invalsi, il registro elettronico, la predisposizione dei curricoli verticali e dei traguardi delle competenze relativi alle Indicazioni Nazionali ecc… senza che i docenti vengano coinvolti e resi partecipi.
Si rivendica, pertanto, il ruolo centrale della Scuola, il pieno rispetto e riconoscimento della professionalità dei lavoratori della conoscenza troppe volte violato.
Alla nostra organizzazione sindacale si chiede di agire affinché le criticità emerse vengano prese in considerazione per adeguare i principi di una scuola inclusiva ai contesti reali. Appare quanto mai necessario, per i lavoratori della scuola riappropriarsi di una propria capacità di riflessione sulla diversità, e sul ruolo che essa esercita nei processi di insegnamento-apprendimento, che, almeno dai Programmi del 1985 in poi, ha caratterizzato le nostre pratiche didattico-educative ed ha informato la capacità progettuale della scuola in regime di Autonomia.
Lungi dal costituire un problema sul quale intervenire con piani specifici corredati di un apparato diagnostico, la diversità è sempre stata la leva sulla quale insistere per promuovere apprendimenti significativi
Roma , 01 10 2013