Quando nel 2008 il maglio di Tremonti colpì la scuola statale con 8 miliardi (e centotrentamila posti di lavoro) di tagli, con la Gelmini che, smantellando la nostra scuola primaria, tra le migliori del mondo, straparlava di maestro unico, grembiulini e voti in condotta, fummo in molti a pensare che dietro quanto accadeva oltre l’ideologia e le politiche neoliberiste di riduzione della spesa sociale si celasse anche una vendetta politica. Alle elezioni del 2008 il mondo della scuola, un mondo per tre quarti al femminile, aveva costituito il comparto del lavoro dipendente pubblico e privato che aveva espresso una maggiore preferenza di voto per il centro sinistra, sfiorando il 70%. La percentuale di voto per il neo costituito Partito Democratico superava la metà, arrivando al 57%. Del resto, il principale bacino elettorale di voti del centrosinistra è stato costituito dagli anni ’90, dagli anni dell’Ulivo, dalla maggioranza del lavoro pubblico e dei pensionati e da un terzo del lavoro dipendente privato. Nel mentre mai si recuperavano i voti persi, alla fine degli anni ‘70/’80, di quelli allora definiti «non garantiti» e che, a partire dal pacchetto Treu, di politica dei due tempi in politica dei due tempi, ulteriormente furono allontanati dal voto per il centrosinistra.
Per questo non si può non collegare quanto, negli ultimi mesi, sta accadendo nel mondo della scuola con quanto è accaduto pochi giorni fa nelle urne. Ma quale complotto della minoranza del Pd! Persino Civati e Fassina sono stati, non contestati, ma di certo contraddetti e incalzati dalle piazze della scuola. Siamo di fronte ad un avvenimento che segnerà l’Italia quantomeno del prossimo decennio: la modifica del blocco sociale di riferimento del centrosinistra, in particolare del Partito Democratico.
Per quanto riguarda i giovani, i precari, i neet, i disoccupati e una quota rilevante del lavoro povero e degli studenti, il terremoto elettorale del 2013, da molti sbrigativamente liquidato e dimenticato, già aveva scavato un solco con il centrosinistra e, per molti, circa la metà del voto di quelle categorie, segnato l’approdo al voto per i 5 Stelle.
Qualsiasi cosa accada al Senato nella discussione sul ddl scuola non cambierà questo dato. Cambierà se mai, la capacità o meno di una quota della sinistra di tornare a rappresentare ancora la propria gente, che si tratti di minoranza dem, Sel o indipendenti, senza consegnarla al Movimento 5 Stelle e al non voto che mai ha registrato simili percentuali nel nostro paese! Vale la pena ricordare che, appena ai primi di marzo, nel mentre il governo strombazzava (arretrando) sulla buona scuola, nelle scuole statali hanno partecipato al voto per il rinnovo delle Rappresentanze Sindacali Unitarie (Rsu) l’80% delle lavoratrici e dei lavoratori, dimostrando, prima ancora della straordinaria adesione allo sciopero del 5 maggio, il consenso di chi nella scuola lavora alle posizioni delle Organizzazioni Sindacali che a quell’annunciato disegno di legge e alle sue anticipazioni si opponevano. Chissà se la presentazione del ddl solo successivamente, il 27 marzo, non sia stata valutata anche per scongiurare, sbagliando, questo consenso, oltre che imporre il ricatto al parlamento sui tempi di approvazione! Ma, aldilà delle percentuali e dei numeri, per chi in quel mondo vive e di quel mondo conosce i volti, i posizionamenti, le passioni e le aspirazioni, la rottura che si è consumata tra il popolo della scuola e il partito democratico assume una palpabilità e un’evidenza che nessun riduzionismo politicista può nascondere. Ho visto e sentito, nelle piazze e sul web, centinaia e migliaia di donne e di uomini che da sempre votavano Pd, dichiarare l’intenzione di non votare più il partito democratico, criticare la sinistra dem per incoerenza e scarsa efficacia e, una parte, applaudire ripetutamente e convintamente i parlamentari del M5S.
Non solo nessun complotto, ma conoscendo storie e persone, che hanno fatto delle nostre scuole statali una palestra di democrazia e di integrazione, nessun qualunquismo, bensì un moto di popolo partecipato e consapevole. Del resto, come si poteva immaginare che chi ha praticato e insegnato a generazioni, partecipazione, consapevolezza, coscienza critica e cittadinanza attiva potesse oggi accettare una scuola autoritaria e classista? Le fonti di questo ddl si registrano alla lettera e senza far demagogia, nei documenti di provenienza del mondo confindustriale e finanziario aggregati attorno alla cosiddetta associazione «Treelle» e nei disegni di legge Aprea del ventennio berlusconiano, con una ridondanza, persino, di antichi e famigerati regii decreti.
La demagogia sta negli straannunciati quattro miliardi di investimenti che sono soprattutto una partita di giro tra quanto oggi si spende in incarichi annuali e in supplenze brevi. Superati i primi dalle stabilizzazioni che impone all’Italia la Corte di Giustizia Europea, e non la magnanimità di Renzi! Cancellate le seconde, le supplenze brevi, dall’istituendo organico funzionale per gli insegnanti e dalla legge di stabilità per il personale Ata. Dando così, senza colpo ferire, il ben servito a più di centomila ulteriori precari della scuola: parte residua delle graduatorie a esaurimento e seconde e terze fasce delle graduatorie d’istituto. Dopo quello della Gelmini il più grande licenziamento di massa della storia repubblicana.
C’è una sola possibilità: disinnescare il ricatto, procedere per decreto alle assunzioni annunciate per il primo settembre e ad un piano straordinario di stabilizzazioni per tutti i precari, ed aprire, finalmente, un vero dibattito pubblico sulla scuola.
Eugenio Ghignoni
Segretario Generale Flc-Cgil di Roma e Lazio