Il FFO per quest’anno aumenta di circa il 7% [583 milioni di euro], raggiungendo complessivamente quasi gli 8,4 mld di euro. In termini reali, considerando l’inflazione, si ritorna sostanzialmente alle risorse del 2009 (ultimo anno prima della lunga fase di tagli inaugurata dalla Gelmini). Un aumento tendenziale in corso dal 2017, accelerato dalla pandemia e i suoi provvedimenti. Questi aumenti, però, sono comunque ridotti rispetto alla necessità. L’Italia, infatti, continua a rimanere all’ultimo posto tra i paesi dell’UE rispetto al finanziamento dell’università e nemmeno la consapevolezza diffusa della necessità di investire nella formazione e nella ricerca determina un concreto cambiamento di rotta.
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Non solo le risorse sono inadeguate ma, come denunciamo da tempo, alcune criticità del sistema universitario derivano da come vengono distribuite le risorse a disposizione. Il FFO dovrebbe essere, per l’appunto, un fondo di finanziamento ordinario, diretto a sostenere il funzionamento strutturale degli atenei (dalle spese per il personale a quelle indispensabili per svolgere le proprie attività didattiche e di ricerca). Le risorse aggiuntive di questi anni, però, sono tutte risorse finalizzate [vincolate cioè a precisi capitoli di spesa]: di fatto le risorse libere a disposizione non sono aumentate in questi ultimi cinque anni. Inoltre, la quota base continua a diminuire in percentuale e in valore assoluto, mentre aumentano le risorse legate alla premialità (quota premiale, dipartimenti di eccellenza, ecc). Le logiche premiali condizionano così sempre di più la vita degli Atenei, aumentando le differenze: a quelli che hanno di più sempre di più, a quelli che hanno di meno sempre di meno. Robin Hood al contrario.
Su questo, proprio quando arrivano le risorse del PNRR, servirebbe una svolta.