Nella giornata del 31 agosto, a poche ore dalla scadenza del primo settembre, la Ministra dell’Università e della Ricerca ha finalmente emesso una propria circolare con alcune indicazioni operative sull’applicazione del DL 111/2021 e il Green Pass nelle Università. Nell’incontro con le organizzazioni sindacali dello scorso 26 agosto [vedi il comunicato unitario], come FLC avevamo sottolineato non solo la nostra valutazione complessiva sul provvedimento, ma avevano anche sollevato diverse criticità e problemi sulla sua concreta applicazione.
In primo luogo, cioè, avevamo sottolineato come la CGIL e la FLC siano favorevoli alle vaccinazioni anticovid, come strumento indispensabile per contrastare la malattia e le sue conseguenze sociali [per questo sostengono e promuovono la campagna vaccinale tra lavoratori e lavoratrici], ma ritengono che, a norma dell’art. 32 della Costituzione (nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge), l’obbligo vaccinale debba esser stabilito attraverso una legge e non possa esser introdotto surrettiziamente o attraverso accordi, contratti o intese sindacali. In questo quadro, la CGIL e la FLC non sono contrari al Green Pass come strumento generale di regolazione degli accessi e della sicurezza sanitaria nei luoghi pubblici, ma ritengono che non possa e non debba esser uno strumento di accesso ai servizi essenziali (come l’istruzione in presenza) o il proprio posto di lavoro (anche indirettamente, come per le mense). Inoltre, a fronte dell’importanza di un tracciamento continuativo e generalizzato come strumento di verifica e contenimento dell’epidemia, abbiamo richiesto la possibilità di effettuare tamponi gratuiti per il personale e per gli studenti delle università, senza alcuna distinzione rispetto al proprio stato di salute, tramite convenzioni con il SSN, laboratori, policlinici e altre strutture universitarie sanitarie.
In secondo luogo, nello specifico, avevamo riportato i gravissimi problemi applicativi di questa norma, sia in termini generali a fronte di alcune disposizioni e ambiguità della norma (i 5 giorni di sospensione, per il personale contrattualizzato e non contrattualizzato, che stravolgono non solo il contratto nazionale ma anche quanto definito dalle legge 165 del 2001), sia nella sua specifica applicazione negli atenei (ad esempio in relazione alla necessità di mantenere le misure di sicurezza vigenti a partire dal distanziamento; la salvaguardia del diritto alla riservatezza dei dati sanitari; la mancanza di chiarezza sui soggetti titolati a svolgere concretamente il controllo; l’indeterminatezza dei soggetti coinvolti dall’obbligo in un contesto in cui operano tipologie diverse di personale, anche non universitario; le modalità di conteggio dei cinque giorni, anche in relazione ai diversi inquadramenti del personale universitario). In particolare, inoltre, avevamo evidenziato come nel quadro dell’autonomia universitaria, e a fronte dell’assenza di un protocollo nazionale di sicurezza (da noi più volte richiesto), il rischio fosse che sull’insieme di queste questioni ogni ateneo declinasse indicazioni e scelte differenti, portando ad una grave divaricazione dei rapporti di lavoro e del diritto allo studio: per questo avevamo sollecitato con forza l’esigenza di costruire un livello nazionale di confronto e indicazioni sulla questione della sicurezza.
La circolare ministeriale offre su alcuni di questi temi dei primi chiarimenti, che riteniamo però ancora parziali e non esaustivi rispetto alla complessità della situazione.
In primo luogo, definisce i soggetti destinatari dell’obbligo [personale docente e tecnico amministrativo dipendente dell’ateneo, docenti a contratto, dottorandi, specializzandi, assegnisti, borsisti, contrattisti, visiting professor, e a tutti gli studenti universitari, ivi compresi gli studenti dei corsi post laurea, nonché agli studenti stranieri]. La circolare quindi precisa che i soggetti coinvolti dovrebbero essere gli studenti (a qualunque titolo) e il “personale dipendente dell’ateneo”, non che “lavora in ateneo”: non sono quindi riportate diverse altre tipologie come il personale dei servizi e in appalto, il personale al servizio di altri enti o aziende che opera in ateneo (CNR, consorzi, convenzioni, ecc), gli ospiti e gli invitati (per attività di ricerca o didattiche), i partecipanti a convegni e conferenze, ecc. Anche se in molti atenei si è invece deciso (almeno al momento) di prevedere l’obbligo di Green Pass sostanzialmente per qualunque persona acceda ai locali universitari.
In secondo luogo, chiarisce che i Green pass sono necessari esclusivamente per le attività in presenza, tenendo conto che il lavoro nelle università comprende impegni didattici, istituzionali e di ricerca per il personale docente (non contrattualizzato) che non si svolgono con una cadenza giornaliera, come modalità di erogazione per il personale tecnico amministrativo (contrattualizzato) che possono essere anche in forma agile [smartworking], in relazione alle autonome scelte organizzative dell’ateneo. Cioè, per entrambi, “l’esercizio del potere sanzionatorio” (il controllo del Green Pass e il conteggio dei giorni per l’eventuale sospensione) si dovrebbe riferire esclusivamente “alle attività che debbano svolgersi necessariamente in presenza”. Anche qui, diversamente da come alcuni atenei sembrerebbe abbiano regolato in prima battuta la questione.
In terzo luogo, si precisa che la sospensione del rapporto di lavoro deve essere applicata alla quinta occorrenza del mancato rispetto del dovere di possesso e dell’obbligo di esibizione della certificazione. Cioè si esplicita che il conteggio dei giorni “senza Green pass” per l’eventuale sospensione dall’attività lavorativa non debba avvenire allo scadere dei cinque giorni da quando scatta l’obbligo, e neanche allo scadere del quinto giorno dopo la prima assenza ingiustificata per mancanza di Green Pass, ma alla quinta entrata in ateneo senza Green pass.
In quarto luogo, ribadisce chiaramente che la verifica deve avvenire solo attraverso la lettura del QR code [codice a barre bidimensionale], usando esclusivamente la specifica applicazione mobile descritta nell’allegato B, paragrafo 4, del DPCM [VerificaC19]. E’ quindi esclusa esplicitamente ogni possibile uso di autocertificazioni (come richiesto da alcuni atenei) o altre modalità di controllo del Green Pass. È inoltre precisato che è “in fase di valutazione una integrazione alla suddetta disciplina” per usare realizzare un applicazione informatica in grado di verificare le certificazioni da parte dei datori di lavoro, fermo restando che questa applicazione dovrà mantenere la stessa limitatezza delle informazioni sanitarie che si verificano quotidianamente (ribadendo quindi che non possono esserci assolutamente comunicazioni al datore di lavoro sulla scadenza del Green Pass o altre informazioni personali del lavoratore e della lavoratrice).
In quinto luogo, l’obbligo per gli studenti vale non solo per le lezioni, ma per tutte le attività universitarie, compreso l’ingresso in “mense e alloggi universitari” o, comunque, “presso qualunque spazio adibito a sede universitaria”.
In sesto e ultimo luogo (ultimo, ma assolutamente non per importanza), si formalizza per la prima volta un livello nazionale di relazione sindacale sulla sicurezza. Si afferma infatti la necessità di un costante aggiornamento degli allegati 18 e 22 (le Linee guida per università e il Protocollo gestione casi sospetti), “restando il consueto e imprescindibile confronto con tutti i soggetti istituzionali”, anche attivando “uno specifico Tavolo tecnico” con le organizzazioni sindacali. Per la prima volta viene cioè riconosciuta ed esplicitata l’esigenza di un livello nazionale di confronto sindacale del settore, per di più non solo sulla questione del Green pass ma anche su documenti che sinora erano stati elaborati esclusivamente dalla CRUI.
In ogni caso, è evidente che in assenza di precise indicazioni su aspetti operativi importanti, assisteremo comunque in questi giorni ad una diversificazione di soluzioni nei diversi atenei, come stanno già a dimostrare le circolari e i Decreti Rettorali di cui siamo a conoscenza. Questa diversificazione operativa avrà anche ricadute sul rapporto di lavoro e la retribuzione di lavoratori e lavoratrici coinvolti/e (contrattualizzati e non contrattualizzati). Tutto questo rimane per noi inaccettabile.
In quest’ottica auspichiamo che il tavolo di confronto formalizzato dal MUR riesca effettivamente a svolgere un ruolo importante. La costituzione di un tavolo tecnico nazionale sulla sicurezza va certamente nella direzione giusta e costituisce anche un fatto positivo rispetto alla richiesta avanzata dalla FLC CGIL di istituire con il prossimo CCNL un nuovo livello nazionale delle relazioni sindacali. È evidente però che l’esplicitazione della costituzione del tavolo nazionale costituisce soprattutto un aspetto significativo in questa fase, proprio per il ruolo che potrebbe svolgere rispetto alla necessità di dare maggiore uniformità ai protocolli sulla sicurezza adottati negli atenei e fornire nel contempo utili indicazioni anche rispetto alla gestione degli aspetti operativi inerenti all’applicazione del DL 111.
Per quanto premesso è importante che il confronto sulla sicurezza con il MUR sia attivato in tempi molto rapidi, in modo da verificare da una parte, nel concreto, gli impegni assunti dal Ministero e dall’altra, da parte nostra, la possibilità di portare avanti le nostre richieste e un contributo fattivo alla soluzione dei tanti problemi e delle criticità che sul tema della sicurezza e dell’applicazione del DL 111 stanno vivendo gli atenei.