Venerdì 12 marzo 2021 si è svolto un incontro tra sindacati e amministrazione, come più volte richiesto dalla FLC CGIL, riguardante i punti ancora irrisolti sul “lavoro agile” emergenziale legato alla pandemia: l’attribuzione dei buoni pasto e la possibilità di svolgere lavoro “straordinario” oltre le 7 ore e 12, almeno in alcuni casi.
Situazione emergenziale
È stato chiarito che tutte le sedi Istat nelle regioni in “zona rossa” (quindi anche quelle romane) si atterrano al DPCM, ovvero va a lavorare solo chi ha necessità urgenti e indifferibili. Al momento quindi le sedi romane rimangono aperte, salvo un monitoraggio della situazione, che a questo punto ci aspettiamo sia stato fatto: se in una sede non è andato nessuno per una settimana forse si può direttamente chiudere.
Buoni pasto
Il direttore della DCRU Weber ha ripetuto che lo stop all’erogazione dei buoni pasto in “lavoro agile” emergenziale da parte dell’Istat, dal mese di agosto 2020, è il frutto di un confronto tra l’amministrazione e il collegio dei revisori, avvenuto a valle dell’accordo del 27 aprile 2020 che – tra i primi enti del settore – aveva consentito all’Istat di erogare i buoni ai dipendenti in lavoro agile “emergenziale”.
È stata quindi ipotizzata una proposta di utilizzo della norma dell’ultima legge di bilancio (il comma 870), che consente agli enti di destinare “i risparmi derivanti dai buoni pasto non erogati” nell’esercizio 2020, “previa certificazione da parte dei competenti organi di controllo” a “finanziare nell’anno successivo, nell’ambito della contrattazione integrativa, in deroga al citato articolo 23, comma 2, i trattamenti economici accessori correlati alla performance e alle condizioni di lavoro, ovvero agli istituti del welfare integrativo”.
Secondo un primo calcolo della DCRU i “risparmi” del 2020 ammonterebbero a circa 400mila euro. Avendo la documentazione sotto mano potremmo certamente farci un’idea più chiara sulla questione. La cifra, se abbiamo capito bene, sarebbe stata calcolata confrontando il consuntivo della spesa nel 2020 (247mila buoni erogati) rispetto a quello del 2019 (321mila buoni distribuiti). Riteniamo che sia rispettoso della ratio della norma e inattaccabile dal punto di vista giuridico un calcolo basato sulle competenze (e non sulla cassa) dell’esercizio 2020 (cioè l’erogazione effettuata nel periodo marzo 2019-febbraio 2020 in relazione a marzo 2020-febbraio 2021 e non 2019 in relazione al 2020), poiché lo slittamento di 2 mesi tra la maturazione e l’effettiva percezione di buoni sposta di fatto una quota dei risparmi del 2020 nel 2021, riducendo quindi il “risparmio”.
Per quanto riguarda la destinazione dei risparmi, l’amministrazione ha ipotizzato di distribuirli tra il personale (IV-VIII e I-III) sulla base del numero di persone afferenti ai due fondi accessori (come accaduto in questi anni per i fondi legati alla “modernizzazione”), mentre una quota potrebbe confluire nel fondo dei benefici assistenziali.
Secondo noi, per questioni di tempi, l’ipotesi ottimale sarebbe quella di creare, nelle more della costituzione dei fondi (accessorio e assistenziale 2021), un fondo ad hoc e su quello contrattare – a stralcio – un’indennità (se legata all’accessorio) o un sussidio (se legato ai benefici assistenziali, ai sensi dell’art. 96 c. 1 del CCNL 2016/2018) uguale nell’importo unitario per tutti i livelli e parametrato in base alle giornate di lavoro agile emergenziale nell’anno 2020. L’indennità o il sussidio costituirebbero un supporto al lavoro da casa e alle spese ad esso connesse. Va studiato, se possibile, un meccanismo che preveda l’esenzione dalla tassazione (come avviene per i buoni pasto elettronici) di questo sussidio.
In ogni caso abbiamo ribadito che la soluzione per il 2020, che deve essere trovata subito, non risolve la questione “buoni pasto” in lavoro agile emergenziale, che continua nel 2021.
Secondo quanto riferito dall’amministrazione, la magistrata della Corte dei Conti “ospite” delle riunioni del collegio dei revisori avrebbe concentrato le sue obiezioni all’accordo del 27 aprile 2020 che ha consentito l’erogazione dei buoni pasto in codice 602 sulla presunta mancata “attivazione di adeguate misure volte a garantire la verifica di tutte le condizioni e dei presupposti che ne legittimano l’attribuzione ai lavoratori” e sulla mancanza di una norma specifica (di legge o contrattuale) che ne preveda l’attribuzione.
Tutte le norme attuali, a partire dalla circolare n. 2/2020 di Funzione Pubblica consentono agli enti pubblici di erogare i buoni pasto in lavoro agile emergenziale, specificando che “il personale in smart working non ha un automatico diritto al buono pasto e che ciascuna PA assume le determinazioni di competenza in materia, previo confronto con le organizzazioni sindacali”.
Nel successivo parere del 28 agosto confermato il 1° dicembre lo stesso Dipartimento di Funzione Pubblica ha precisato che “il riconoscimento dei buoni pasto, in assenza di specifiche previsioni ostative rinvenibili nella disciplina normativa e contrattuale vigente, rappresenta una decisione rimessa esclusivamente alle autonome scelte organizzative e gestionali di ciascuna amministrazione ed alle conseguenti misure intraprese per garantirne l’osservanza”.
Durante l’incontro è stato citato dall’amministrazione anche un recente parere dell’avvocatura dello stato al Formez (dell’11 febbraio 2021), di cui abbiamo richiesto e ci è stata successivamente fornita una copia, che non fa che confermare la possibilità di erogazione del buono pasto in “lavoro agile” emergenziale, e precisa infatti, richiamando il citato parere della Funzione Pubblica, che “scelte organizzative di tal fatta potrebbero, in ipotesi, rendersi necessarie proprio a causa della generalizzata estensione dello smart working per effetto dell’art. 87, c. 1, del d.l. n. 18 del 2020 e dei relativi provvedimenti attuativi (a partire dal d.P.C.M. 8 marzo 2020)”, “creando esigenze organizzative peculiari che non sarebbero sorte nel contesto di una applicazione dell’istituto contenuta negli originari limiti previsti dalla legge”.
Aggiungiamo un elemento di contesto non irrilevante. Secondo la disciplina definita dalla normativa emergenziale infatti, da marzo a luglio 2020 il lavoro a distanza è stato definito come la modalità “ordinaria” di lavoro nella Pubblica Amministrazione e, a partire dalla “seconda ondata” è diventato nuovamente modalità ordinaria al pari di quello in presenza, e tale rimane tuttora.
A quanto ci risulta molte amministrazioni pubbliche, anche nel nostro settore, hanno autonomamente deciso, previo confronto con le organizzazioni sindacali, di erogare i buoni pasto in lavoro agile emergenziale. D’altra parte è del tutto evidente che, in base alle varie direttive governative e misure sanitarie applicate dall’Istat, il personale non ha la piena libertà di scelta sulla modalità di lavoro in presenza o a distanza, per condizioni soggettive (le prescrizioni del medico competente) e oggettive (“una persona per stanza”, il principio di rotazione, l’interdizione di alcune aree o addirittura di intere sedi di lavoro, la collocazione della sede in “zona rossa”, ecc.).
Il CCNL 1998/2001 (art. 5) degli enti di ricerca prevede l’erogazione del buono pasto per “la singola giornata lavorativa nella quale il dipendente effettua un orario di lavoro ordinario superiore alle sei ore, con la relativa pausa”. Non si parla di lavoro in presenza (come nel CCNL del Formez) né di timbrature più o meno virtuali: siamo, lo ricordiamo, un ente di ricerca! Il sistema di gestione adottato dall’Istat attribuisce alla giornata il valore forfettario di 7 ore e 12 corrispondenti al codice 602, e 7 ore e 12 danno diritto, secondo il nostro contratto nazionale, all’erogazione del buono pasto! Cosa che già avviene, nel pieno rispetto del nostro regolamento sull’orario di lavoro e delle norme, ad esempio in caso di lavoro in “permesso per servizio” (110), che come noto è esattamente lavoro svolto fuori dalla sede di lavoro. A ciò si aggiunga che a partire da luglio è stato introdotto all’Istat il regime della “contattabilità” in lavoro agile, che è proprio uno degli elementi richiamati dalla nota del MEF citata nel parere dell’avvocatura di stato.
Per tutti questi motivi la soluzione più logica resta, a nostro parere, la piena erogazione dei buoni per le giornate di 602, senza la necessità di utilizzare strumenti di “controllo” dettagliato dell’orario, che sarebbero in contrasto con la flessibilità prevista dal nostro lavoro.
Il direttore generale, ancora una volta, non ha confermato definitivamente una scelta in un senso o nell’altro, ma ricordiamo che quei fondi sono destinati ai lavoratori e ai lavoratori devono comunque tornare, in un modo o nell’altro.
Infine, secondo noi, anche il Patto sul lavoro pubblico firmato tra confederazioni sindacali e governo rafforza l’idea che questo istituto debba passare dalla contrattazione sindacale.
Credito orario e straordinario in lavoro agile emergenziale
Su sollecitazione delle organizzazioni sindacali, finalmente l’Istat ha predisposto una bozza di verbale di confronto, che è una base di partenza per risolvere questo altro nodo. Il testo proposto sembra consentire la valorizzazione di eventuale credito orario solamente al personale autorizzato al lavoro agile nel fine settimana o in “codice rosso” sanitario. Queste condizioni vanno ampliate, per le considerazioni sopra esposte sul buono pasto: tutto il personale è – almeno parzialmente, a diverso grado – “costretto” (giustamente, lo ribadiamo!) a non prestare il proprio lavoro in presenza. Per questo proporremo un allargamento dei criteri previsti nella bozza dell’amministrazione.
Il principio di fondo che non deve assolutamente passare è che l’erogazione del buono pasto o la possibilità di valorizzare il credito orario siano una sorta di “incentivo” a lavorare in presenza, quando tutta la normativa emergenziale ribadisce la necessità – a tutela della salute pubblica – di “massimizzare” il lavoro a distanza. Per citare il parere dell’avvocatura dello stato fornito dall’amministrazione l’“obiettivo primario, proprio della fase attuale” del “lavoro agile” è e rimane “ridurre la circolazione delle persone per contrastare il fenomeno epidemico”.
Piano nazionale dei vaccini
L’incontro è avvenuto prima dell’esplosione del “caso AstraZeneca”. Il direttore generale ha chiarito che, come chiesto dalla FLC CGIL nel corso dell’incontro precedente, per tramite della Consulta dei presidenti degli enti di ricerca, è stato ribadito al governo che non esistono enti di serie A (quelli vigilati dal MUR) e enti di serie B. Camisasca ha anche confermato l’impegno a valutare le possibilità concesse nei prossimi giorni alle varie pubbliche amministrazioni, per il possibile inserimento dei lavoratori dell’Istat nel piano nazionale vaccinale.
13/3: CGIL e FLC, le autorità facciano chiarezza
15/3: CGIL e FLC, sui vaccini serve chiarezza
18/3: l’EMA dichiara sicuro il vaccino AstraZeneca
Accordi salario accessorio 2019 e 2020 (arretrati IEM e art. 53), prossimo incontro
Dopo il pagamento degli arretrati – dopo i nostri solleciti – ai “nuovi” vincitori dell’articolo 54 a inizio mese, abbiamo chiesto lo stato di avanzamento delle due ipotesi di accordo siglate a dicembre sull’accessorio 2019 e 2020.
L’ipotesi di accordo sul 2019 è stata certificata dai revisori e quindi ora passa agli organi vigilanti, quella sul 2020 (che contiene gli incrementi dell’indennità di ente e la valorizzazione delle posizioni art. 53) deve essere inviata prossimamente ai revisori: lo abbiamo sollecitato, sono passati quasi 3 mesi!
Nel frattempo è in via di costituzione il comitato reclami per l’art. 53.
La prossima convocazione dovrebbe essere per un aggiornamento sulle questioni di buoni pasto e credito orario, nonché sugli incentivi a RUP e DEC.