Non bastava il Presidente Blangiardo (in pensione da 1 anno e mezzo), l’incarico misterioso all’ombra dell’ufficio stampa che ricopre la dottoressa Cacioli (ben due anni dopo il pensionamento!), l’affidamento della nuova (ma già vecchia) direzione DCRT prima al dottor Lo Moro – con delibera di pensionamento già firmata – e poi alla dottoressa Micali (appena prorogata per un mese gratuito post-pensionamento), la nomina a presidente di una commissione di concorso dell’ex capo dipartimento del DIPS Monducci, immediatamente dopo il pensionamento. Arriva infatti il 16 marzo anche la delibera che proroga di un anno l’incarico alla dottoressa Buratta come direttrice del DIRM; sempre dopo il pensionamento (che avverrà il 31 marzo) e sempre a titolo gratuito.
L’Istat continua ad affidarsi da lungo tempo ai suoi dirigenti cessati che – evidentemente con grande spirito di servizio – si rendono disponibili a lavorare “gratis” per dirigere le persone. Ma che visione può avere un ente la cui guida è affidata a manager con il futuro alle spalle? Forse nessuna, come si deduce ad esempio dalla “riorganizzazione” operata con un blitz dal Consiglio del 25 febbraio, con la creazione della multiforme DCRE e l’insensata soppressione della DCRT.
Insomma, l’Istat assegna gli incarichi più prestigiosi ai dirigenti in pensione, o provenienti dall’esterno, come se fosse impossibile un naturale passaggio di consegne interno; si dimostra anche in questo un Istituto incapace di ricambio generazionale, con un’età media in continua crescita nonostante i numerosissimi pensionamenti.
È ormai sotto gli occhi di tutti che l’Istat sta diventando un luogo dal quale si fugge appena si può, alla ricerca di migliori opportunità professionali. Non solo, dopo decenni scende sotto la soglia dei duemila dipendenti, ed è sempre più lo specchio di un Paese bloccato e a crescita zero, caratteristica denunciata con forza proprio dal presidente Blangiardo nelle sue dichiarazioni pubbliche degli ultimi mesi.
Ne emerge un quadro veramente preoccupante, in cui l’Istat non riesce a darsi una guida e un’organizzazione adeguate e orientate alle sfide del futuro, né a fermare una sorta di “deriva universitaria”, che da sempre prevede che nei massimi luoghi della ricerca del nostro paese i “baroni” continuino a presidiare le facoltà anche dopo il pensionamento. Con i risultati che tutti conosciamo.
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