Poletti colpisce ancora

Jobs Act, DIS-COLL e precarietà: queste le opportunità per i giovani qualificati nel nostro paese?

“Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi.”

L’ha detto ieri Giuliano Poletti, Ministro del Lavoro. La dichiarazione prosegue una tradizione già onorata da numerosi Ministri della Repubblica, quella del disprezzo verso i cittadini più giovani del nostro paese, in particolare verso coloro che investono nella formazione, che ambiscono ad un lavoro in linea con i propri studi, che vogliono fare ricerca.

Di questa tradizione Giuliano Poletti è interprete particolarmente attivo. Lo scorso anno il Ministero del Lavoro ha deciso di “addolcire” le festività natalizie di assegnisti, dottorandi e borsisti di ricerca escludendoli, con motivazioni infondate e incomprensibili, dalla fruizione della DIS-COLL. Quest’anno, invece, il Ministro in persona ci ha regalato per le feste questa improvvida dichiarazione sulla fuga dei cervelli.

Dopo decine di reazioni indignate, il ministro ha deciso di affidare una replica all’ANSA, in cui chiede scusa per essersi espresso male, e aggiunge:

Ritengo che è utile (sic.) che i nostri giovani possano fare esperienze all’estero, ma che dobbiamo dare loro l’opportunità di tornare nel nostro paese e di poter esprimere qui le loro capacità e le loro energie.

Nella sua replica il Ministro non spiega come questo si possa conciliare con il negare la dignità di lavoratori a migliaia di ricercatori e ricercatrici precarie, con la loro reiterata esclusione da misure volte a garantire loro un tenore di vita dignitoso nei mesi di disoccupazione tra un contratto e il successivo, con la continua delegittimazione della funzione sociale della ricerca e dell’università. Le parole del ministro suonano ancora più beffarde, se ricordiamo che a pronunciarle è il primo firmatario del Jobs Act, normativa che ha provocato un aumento del 31% in due anni dei licenziamenti per giusta causa (fonte:INPS) e che ha contribuito ad aumentare il grado di precarietà dei giovani lavoratori, come dimostrano i dati sull’uso dei voucher (+66% tra 2014 e 2015, e +40% nei primi sei mesi del 2016, dati ISTAT). Una politica schizofrenica, dunque, che da un lato vuole “dare opportunità” ai giovani, e dall’altro ne precarizza la vite e ne taglia i diritti.

Da tempo ADI, LINK e FLC-CGIL reclamano la completa attuazione della Carta Europea dei Ricercatori, che gli atenei italiani hanno sottoscritto a Camerino il 7 luglio 2005. Tra i “principi generali e requisiti validi per i datori di lavoro e i finanziatori” la Carta elenca:

Riconoscimento della professione
Tutti i ricercatori che hanno abbracciato la carriera di ricercatore devono esserericonosciuti come professionisti ed essere trattati di conseguenza. Si dovrebbe cominciare nella fase iniziale delle carriere, ossia subito dopo la laurea, indipendentemente dalla classificazione a livello nazionale (ad esempio, impiegato, studente post-laurea, dottorando, titolare di dottorato-borsista, funzionario pubblico).

E, poco più oltre:

Finanziamento e salari
I datori di lavoro e/o i finanziatori dovrebbero assicurare ai ricercatori condizioni giuste e attrattive in termini di finanziamento e/o salario, comprese misure di p revidenza sociale adeguate e giuste (ivi compresi le indennità di malattia e maternità, i diritti pens ionistici e i sussidi di disoccupazione), conformemente alla legislazione nazionale vigente e agli accordi collettivi nazionali o settoriali. Ciò vale per i ricercatori in tutte le fasi della loro carriera, ivi compresi i ricercatori nella fase iniziale di carriera, conformemente al loro status giuridico, alla loro prestazione e al livello di qualifiche e/o responsabilità.

Per quanto il Ministro si sforzi di smorzare l’eco delle sue parole, sono il Jobs Act e l’assordante silenzio sulle misure richieste dalla Carta Europea dei Ricercatori a parlare per lui.

Su una cosa, però, Poletti ha ragione: in Italia non sono certo rimasti 60 milioni di “pistola”. Di sicuro ne è rimasto uno al Ministero del Lavoro. E abbiamo l’impressione che questo Paese non ne soffrirà, qualora non dovesse averlo più tra i piedi.

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