Ripresa attività in Università, Enti di Ricerca e AFAM: le proposte della FLC CGIL

CREA: inaccettabile pubblicazione unilaterale del bando per progressioni di livello

NOTA SULLE LINEE GUIDA GENERALI PER LA RIPRESA IN PRESENZA DELL’ATTIVITÀ NEGLI ATENEI, NELLE ISTITUZIONI AFAM E NEGLI ENTI PUBBLICI DI RICERCA

Tavolo tecnico MUR-OOSS – 6 e7 ottobre 2021

La FLC CGIL, come più volte espresso e ribadito in incontri al MUR, ritiene in primo luogo necessario precisare l’utilità, se non l’imprescindibilità, di arrivare a definire un protocollo nazionale di sicurezza per le università e le istituzioni afam e gli EPR, come avviene in tutti gli altri settori della pubblica amministrazione e persino nel privato. Il pieno rispetto dell’autonomia accademica, come la naturale indipendenza delle singole amministrazioni, non può far venire meno l’implementazione di opportune uniformità a livello nazionale nella gestione della sicurezza, che vedono oggi invece imporsi inaccettabili differenze (come, ad esempio, in relazione alle distanze, alle procedure di ingresso o alla quarantena sui libri, ad oggi diversificate discrezionalmente, senza ragione oggettiva, nei protocolli delle singole istituzioni).

Allo stesso modo, la FLC CGIL ritiene necessario precisare la richiesta della gratuita dei tamponi, avanzata dalla CGIL, come dalle altre confederazioni. A questa richiesta concorre non solo l’importanza di screening generali continuativi per contenere la pandemia, più volte ribadita in sede scientifica, ma anche la stessa impostazione della norma sulla certificazione covid19. Il DL 111/2021 prevede infatti due modalità per ricevere tale certificazione (il cosiddetto green pass): una vaccinazione in corso di validità o un test molecolare/antigenico (con tempi diversi di validità, 48 o 72 ore). Al di là della considerazione generale sull’insostenibilità del dover pagare per lavorare, il TUSL (D.lgs 81/08) prevede espressamente all’art. 15, comma 2, che le misure relative alla sicurezza, all’igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori.  Prevedere di conseguenza una condizione di accessibilità al luogo di lavoro, in relazione alla sicurezza, che comporti un costo da parte del lavoratore/lavoratrice, ci pare non solo ingiusto ma contradditorio rispetto la vigente normativa e per questo ribadiamo la necessità di prevedere test a carico delle singole amministrazioni, per qualsiasi lavoratore/lavoratrice o studente debba accedere alle sedi accademiche Come noto, Alla luce del DL 127/21 tale aspetto  dal prossimo 15 ottobre riguarderà anche gli enti pubblici di ricerca.

Precisate queste rivendicazioni generali, nel confronto avviato nei tavoli tecnici del 6 e 7 ottobre si è delineata la possibilità, nell’interlocuzione svolta e nelle conclusioni dell’incontro, che si possa comunque arrivare a determinare delle Linee guida concernenti la ripresa delle ordinarie attività che garantiscano la sicurezza e anche una maggior uniformità nelle prassi delle diverse istituzioni. In questo quadro, avanziamo quindi alcune richieste sugli elementi di aggiornamento o di precisazione che riteniamo indispensabile inserire in questo testo, con l‘avvertenza di prevedere specifiche disposizioni per quelle situazioni oggettivamente differenti tra le diverse istituzioni.

Green pass ed accesso alle sedi. Come precisato nelle note ministeriali del 31 agosto 2021 [prot. 11592 per l’università e prot. 11600 per l’afam], come ribadito nel DL 127 del 23 settembre 2021 (sull’accesso nei luoghi di lavoro pubblici e privati tramite certificazione covid19), il controllo della certificazione deve essere in relazione all’accesso delle sedi universitarie e delle istituzioni afam a richiesta. Si ritiene quindi necessario, anche alla luce di comportamenti difformi da parte di alcune amministrazioni, ribadire tali concetti generali ed esplicitarne le conseguenze (per come esse sono appunto indicate nella circolare, nel DL 127/08 come nelle Linee guida per le pubbliche amministrazioni, in relazione all’art. 1 comma 5 dello stesso DL 127/21). In primo luogo, si ritiene quindi utile precisare che non è comunque consentita la raccolta dei dati relativi alle certificazioni esibite dai lavoratori né la conservazione della loro copia, ed inoltre che il possesso del green pass non è, a legislazione vigente, oggetto di autocertificazione, e quindi non possono esser richieste dichiarazioni in merito (al personale o agli studenti), tantomeno informazioni sanitarie come quelle relative alla scadenza delle certificazioni possedute (anche in relazione a quanto segnalato dal Garante della Privacy sull’art. 88 del Regolamento; l’art. 113 del Codice in relazione all’art. 8 della l. 20 maggio 1970, n. 300, e all’art. 10 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276; il provvedimento di avvertimento nei confronti della Regione Siciliana del 22 luglio 2021, n. 273; il provvedimento n. 198 del 13 maggio 2021 – Documento di indirizzo “Vaccinazione nei luoghi di lavoro: indicazioni generali per il trattamento dei dati personali”). Si ritiene anche necessario segnalare la necessità di distruggere eventuali dati erroneamente raccolti e detenuti in queste settimane. In secondo luogo, si ritiene utile precisare che se tutto il personale e gli studenti sono soggetti a questa autorizzazione (come precisato dal DL 122/21 e dalle Linee guida per la PA prima richiamate): qualunque soggetto che accede alle sedi universitarie e afam dovrà essere munito di “green pass”, anche i dipendenti delle imprese che hanno in appalto i servizi di pulizia o quelli di ristorazione, il personale dipendente delle imprese di manutenzione che, anche saltuariamente, accedono alle infrastrutture, il personale addetto alla manutenzione e al rifornimento dei distributori automatici di generi di consumo (caffè e merendine), quello chiamato anche occasionalmente per attività straordinarie, nonché consulenti e collaboratori, nonché i prestatori e i frequentatori di corsi di formazione. Nel contempo, anche a fronte dal comportamento di alcuni atenei, riteniamo importante esplicitare che invece la certificazione covid19 (cosiddetto green pass) non è richiedibile ai soggetti che esplicano la propria attività lavorativa al di là di questo spazio-tempo (ad esempio il tragitto casa lavoro, chi si collegava on line a siti o attività universitarie, siano essi studenti universitari per frequentare lezioni, sostenere esami o interagire con i servizi, sia esso personale dipendente in attività in smartworking o in lavoro agile). Se, come prevedono le Linee guida per la PA, non è consentito in alcun modo, in quanto elusivo del predetto obbligo, individuare i lavoratori da adibire al lavoro agile sulla base del mancato possesso di tale certificazione, è altrettanto scorretto prevede dichiarazioni o verifiche del green pass per il personale che svolge attività on line o presso la propria abitazione.

Controllo del green pass. In queste settimane, abbiamo visto nelle istituzioni comportamenti estremamente diversificati in relazione all’affidamento dei compiti di rilevazione e verifica della validità della certificazione covid19 (cd. Green pass). Alcune istituzioni hanno affidato tale compiti anche a personale esterno (ad esempio, servizi di portineria o guardie giurate in appalto), altri hanno rigorosamente tenuto tale funzione all’interno del personale di ruolo. Alcuni atenei hanno affidato tali compiti al personale dirigente o a livelli elevati dell’inquadramento contrattuale (EP o D), altri non hanno previsto tale attenzione (affidando tali attività anche a personale inquadrato come C o B). Alcune amministrazioni hanno previsto espliciti atti di delega, o comunque incarichi formali, altri hanno preferito non formalizzare tali compiti (in particolare al personale alle dirette dipendenze). Alcuni atenei hanno previsto forme di incentivazione o retribuzione di questi compiti, altri hanno taciuto. In considerazione del fatto che, in ogni caso, tali attività prevedono compiti di ampia responsabilità (il controllo di dati personali, la risposta ad eventuali contestazioni o tentativi di accesso, la segnalazione formale di eventuali violazioni anche con conseguenze in relazione a sanzioni e contravvenzioni), si ritiene necessario precisare che tale compiti debbano esser delegati (appunto usando la forma della delega, quindi con possibilità da parte del lavoratore e della lavoratrice di recesso, e non di incarico, paragonabile di fatto ad un ordine di servizio), preferibilmente a personale con qualifica dirigenziale (come indicato tra l’altro nelle Linea guida per le PA) ed, in ogni caso, specificamente incentivato/retribuito proprio in ragione di tale responsabilità.

Mantenimento delle distanze. L’allegato 18 al DPCM 7 agosto 2020, attualmente ancora vigente, riporta specifiche misure di distanziamento, evitando o contenendo il rischio di aggregazione e affollamento, prevedendo in generale almeno un metro di distanza minimo e, nelle aule con postazioni fisse, la previsione di sedute alternate con un margine della misura di +/- 10%, in considerazione delle caratteristiche antropometriche degli studenti. Il Dl 111 del 6 agosto 2021, convertito con modificazioni dalla L. 24 settembre 2021, n. 133, prevede all’articolo 1, comma 2 lettera b), per tutte le istituzioni educative, scolastiche e universitarie, che è raccomandato il rispetto di una distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, salvo che le condizioni strutturali-logistiche degli edifici non lo consentano. Sulla base di tale previsione, diversi atenei hanno in queste settimane stabilito un ritorno al 100% della capienza delle aule e degli uffici, derogando così al distanziamento necessario sia per gli studenti sia per il personale in servizio. Nel quadro della normativa presente, a fronte dell’inizio delle lezione e del ritorno al lavoro in presenza secondo quanto annunciato dal Ministro Brunetta per tutta la Pubblica Amministrazione, si ritiene fondamentale un richiamo esplicito e netto all’importanza di mantenere in generale le distanze di sicurezza previste (metro di distanza, in aula +/- 10%), con attenzione e rigorosità, limitando eventuali riduzioni unicamente a casi eccezionali, e come tali a fronte di specifiche, motivate e imprescindibili esigenze strutturali e logistiche di quelle particolari realtà (evitando che tale situazione possa esser generalizzate all’insieme, o anche solo ad una quota rilevante, delle lezioni e delle attività lavorative nelle università).

Green pass per i lavoratori degli enti pubblici di ricerca.  Nell’apprestarsi dell’entrata in vigore del citato DL 127/21 le Linee guida dovranno necessariamente riguardare anche il lavoro svolto presso gli Enti di Ricerca di cui al Dl.gs 218/16, tenendo conto e valorizzando i protocolli di sicurezza finora siglati.

Ulteriori misure di sicurezza. Riteniamo inoltre importante richiamare e precisare l’importanza dell’effettivo uso di tutte le misure di sicurezza indicate dal CTS e dalla normativa vigente, che proprio a fronte dell’estensione del Green Pass sembra passare in secondo piano in alcune istituzioni. In particolare, si ritiene necessario richiamare esplicitamente l’applicazione delle procedure di sanificazione quotidiane, secondo le indicazioni dell’ISS, e l’uso obbligatorio delle mascherine per tutto il tempo di permanenza nelle strutture didattiche. In relazione a regolamenti e linee guida di diversi atenei, si ritiene utile precisare che per chi interviene (docenti in aula, laureandi, studenti ad esame, relatori a convegni/conferenze) è possibile non indossare la mascherina unicamente qualora si mantenga una posizione statica, ci siano distanze di almeno due metri dalle persone più vicine e si proceda al termine di ogni intervento una sanificazione degli eventuali strumenti utilizzati (microfoni, PC, postazioni, ecc). Si ritiene inoltre utile ribadire l’importanza del ricambio dell’aria, non solo attraverso l’eventuale apertura delle finestre ma ove possibile attraverso l’uso o il rinnovamento dei sistemi di climatizzazione (evitando il ricircolo dell’aria esausta, anche in ottemperanza alle recenti indicazioni e normative green). In questo quadro si ritiene utile prevedere ed indicare l’opportunità dell’adozione nelle aule e negli uffici di appositi sistemi di misurazione della qualità dell’aria [come il monitoraggio continuo di CO2], anche al fine di prevedere momenti di sospensione delle attività e necessario ricambio dell’aria.

Il lavoro agile nei settori dell’istruzione e della ricercaDal 15 ottobre ci sarà una forte riduzione del lavoro a distanza in tutti i settori della Pubblica Amministrazione in conseguenza di un decreto di recente emanazione con il quale il Ministro della Funzione Pubblica ha inteso regolare le modalità in cui tale rientro dovrà essere organizzato. Riteniamo di grande rilevanza che il Mur, a partire dalla conoscenza delle specifiche modalità in cui è svolto il lavoro nelle università, nell’afam e negli enti pubblici di ricerca, possa produrre delle indicazioni operative per il rientro dei lavoratori dei settori di propria competenza allo scopo di disciplinare in modo efficace la materia salvaguardandone le specificità. È innegabile che durante la pandemia si siano sviluppate pratiche necessarie alla prosecuzione delle attività che in molti casi hanno prodotto innovazione ed anche aumento della qualità dei servizi. Riteniamo quindi auspicabile che il Ministero emani un proprio provvedimento applicativo del DL 127/21 che pur tenendo conto delle indicazioni rivolte alla generalità dei dipendenti pubblici definisca un peculiare quadro organizzativo.

L’esigenza di maggior flessibilità orariaA fronte del perdurare dello stato di emergenza sanitaria, nel quadro dell’annunciato prossimo intervento sul lavoro agile da parte del governo, si ritiene importante sollecitare le amministrazioni ad avviare contrattazioni integrative volte ad aumentare significativamente le fasce temporali di flessibilità oraria in entrata e in uscita, utilizzando appieno  le previsioni contrattuali del vigente CCNL Istruzione e ricerca (art. 42 comma 3 lettera l per l’università; art. 68 comma 4 lettera m per gli EPR e art.97, comma 3 lettera b7 per l’afam). Questo al fine da una parte di diradare negli uffici i momenti di affollamento, dall’altra di ridurre l’afflusso alle sedi negli stessi orari che già vedono particolarmente utilizzati i trasporti pubblici.

La questione della didattica blended e delle registrazioni. L’allegato 18 al DPCM del 7 agosto 2020 e successivi è stata quella di erogare ove possibile la didattica sia in presenza sia online, senza nessuna indicazione o regolazione nazionale. Questa previsione, con questa indeterminatezza, non solo ha prodotto diverse articolazioni di tale attività nei diversi atenei, ma in alcune realtà ha portato a fargli assumere una specifica configurazione didattica (ad esempio, con corsi on line per studenti lavoratori). Nell’attuale normativa universitaria, si prevede l’erogazione dei corsi in presenza e in forma telematica, con indicazioni precise e vincolanti per le diverse modalità (vedi le Linee guida per l’accreditamento dell’Anvur, con le sue chiare e positive previsioni). L’uso generalizzato di una nuova didattica on line, che non si configura come quella telematica e non ne rispetta le relative indicazioni, rischia di produrre di fatto una nuova tipologia di corsi che si impone nella realtà, senza controllo e supervisione nell’ambito del sistema universitario nazionale. A questo elemento si aggiunge il fatto che diversi atenei, al di là di ogni riferimento normativo, hanno imposto l’uso di videoregistrazioni, in forme a sua volta molto differenziate (in relazione a obbligo, accesso, proprietà, tempi di conservazione, possibile cessione a terzi, ecc). Alcuni atenei sono arrivati a prevedere una cessione totale e senza limiti dei diritti e delle facoltà d’uso di tali registrazioni. Diversi atenei hanno annunciato un loro uso strutturale, anche oltre l’emergenza in corso. Come organizzazione sindacale abbiamo già segnalato, al Ministero, al CUN e ai Rettori, le nostre preoccupazioni in relazione alla libertà di insegnamento (anche in relazione ad alcune sentenze della Corte Europea), alla privacy, ai diritti di proprietà intellettuale, oltre che ad un più generale rischio di videosorveglianza di lezioni, discussioni e confronto nelle nostre università. Tutto questo al netto di evidenti preoccupazioni di ordine didattico, sull’efficacia e la funzionalità nell’uso strutturale (e non emergenziale) di lezioni contemporaneamente in presenza e on line, anche in relazione alle osservazioni di sistema con cui abbiamo aperto queste osservazioni. Alla luce di tutto ciò, riteniamo indispensabile definire una stretta regolazione dell’uso e della configurazione didattica delle lezioni on line e delle videoregistrazioni, attraverso l’adozione di un regolamento nazionale o di un provvedimento ministeriale, che ponga inequivocabili limiti al rischio di sorveglianza, definisca criteri e modalità di erogazione della didattica on line (come avviene per quella telematica), tuteli diritti e libertà della docenza universitaria.

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