Riproponiamo, in forma integrale, l’intervista di Pino Salerno al Segretario generale della FLC CGIL Roma e Lazio Alessandro Tatarella pubblicata oggi su Articolo33.
Nato a Roma nel 1970, Alessandro Tatarella è stato riconfermato segretario generale della FLC CGIL di Roma e del Lazio nel corso della scorsa tornata congressuale. Con lui abbiamo affrontato i grandi dilemmi che attraversano oggi Roma e l’intera regione, la questione educativa e la questione sociale che formano un unicum imprescindibile, le nuove povertà educative, la complessa condizione di vita di studentesse e studenti negli atenei della capitale.
Intanto partiamo dal congresso della FLC CGIL. Come vedi l’ossatura dell’organizzazione e in particolare il nuovo assetto del gruppo dirigente?
Se guardiamo solo i numeri, devo riconoscere che non c’è stata grande partecipazione alle assemblee territoriali del congresso. Siamo al 25 per cento, ma non possiamo dirci soddisfatti. Il dibattito tuttavia è stato enormemente interessante, anche per effetto degli stimoli del documento congressuale, che ci ha posto dinanzi a molti temi di natura confederale, a partire da quello dell’autonomia differenziata, per finire alla questione salariale. Interventi interessanti da parte di molti. E registro un dato: coloro che non erano iscritti si iscrivevano nel corso dei congressi, paradosso interessante emerso in tutti i territori. Un dato che ci ha offerto l’opportunità di fare nuovi iscritti, condizione molto positiva che rivendico ed evidenzio. Molto alta invece è stata la partecipazione alle istanze successive delle assemblee territoriali.
Al di là di queste oneste considerazioni intellettualmente oneste, non posso non farti una domanda sulla città in cui viviamo, e che ti vede come segretario generale della FLC CGIL: Roma, capitale dai mille volti, dai mille paradossi e dalle molte contraddizioni. Siamo a Roma, centro propulsore della conoscenza del Paese: grandi scuole, grandi università, sede molti centri di ricerca pubblici e privati. Qual è la spinta che la FLC di Roma e Lazio riesce a offrire all’intera CGIL nazionale, dal momento che può esserci una sorta di sovrapposizione tra dirigenti del territorio e dirigenti nazionali?
Domanda interessante. Ad esempio, il 70 per cento degli enti di ricerca è concentrato nella nostra regione e quindi a differenza di università e scuole statali e non statali, il rapporto che si ha negli enti di ricerca appare molto diverso rispetto agli altri segmenti del comparto istruzione. C’è una interlocuzione con scuole e università del territorio, mentre è assente negli enti di ricerca che hanno un rapporto diretto con le istanze nazionali. Ciò ci pone dei limiti rispetto ad alcune questioni che possono avere ricadute sul nostro territorio. Ad esempio, le risorse del Pnrr, ingenti nel Lazio: non è un tema che si possa affrontare solo a livello nazionale. Dobbiamo rapportarci con gli enti di ricerca che insistono sul territorio dentro un quadro confederale su come investire queste risorse. A Roma si parla del Technopole, ma non c’è stato un dibattito pubblico qui sul territorio, la discussione è partita dall’alto, con la creazione di una regìa che prescinde dal territorio. Aggiungo inoltre che la CGIL Roma e Lazio ha istituito una cabina di regìa, un gruppo di lavoro che raccoglie tutte le categorie, nell’ambito di progetti e risorse che questa regione non può permettersi il lusso di abbandonare.
La conformazione sociologica del Lazio è interessante: c’è Roma capitale e poi ci sono le province, che di fatto sono satelliti della capitale. Avete mai fatto una ricerca sulla qualità dell’istruzione nella capitale e nella regione?
Altea domanda interessante. Il segmento della formazione da zero a diciotto anni contiene dentro tutto. Si tratta tuttavia di mondi che non si parlano. La competizione tra istituti, generata dall’applicazione della renziana legge 107 del 2015, ha condotto soprattutto a Roma le pratica della school choice, che ha desertificato e ghettizzato le scuole delle periferie, accentrando i “migliori” istituti nelle zone più ricche.
Raccontiamola dunque questa paradossale unicità della capitale, per chi ci studia e per chi lavora nell’istruzione.
Roma è una città con un elevato tasso di precariato e di pendolarismo. Con inevitabili ricadute sulla didattica e sulla sua continuità. La permanenza del titolare di una cattedra è più difficile a Roma che altrove. Per questa ragione abbiamo creato tanti sportelli di consulenza per i precari, sia per chi lavora sia per chi studia. Andrebbero ancora più diffusi. L’anomalia di Roma è anche o forse soprattutto nella dimensione enorme che occupano gli studenti fuori sede. C’è un tema profondo che riguarda le nuove generazioni. Il livello di pendolarismo è già di per sé elevato, oggi che sono ricominciate le lezioni in presenza nelle università romane. Ma Roma è una città difficile per effetto dei costi dei fitti. Realtà che spinge molti studenti fuori sede ad accontentarsi di vivere nelle periferie, spesso lontane dalle università. Insomma, esiste qui a Roma un enorme problema di welfare studentesco, che abbiamo sollevato con tutte le istituzioni, dai municipi al Campidoglio alla Regione, fino alle aziende di trasporto. Venire a studiare o lavorare in questa città è diventata un’impresa difficile. Roma è una città costosa, molto costosa. Se si abita già fuori il Raccordo anulare si è già fuori dalla città, e raggiungere le sedi universitarie o le scuole diventa davvero complicato. Dal punto di vista dei tempi, si fa prima ad arrivare da Napoli piuttosto che da Montespaccato. Roma è una città che non aiuta, né gli studenti, né chi lavora.
Roma ha tre grandi sedi universitarie: Sapienza, Tor Vergata e Roma Tre. La sensazione è che stia prevalendo una sorta di ideologia dell’eccellenza, che riguarda soprattutto la Sapienza. Ed è qui una grande contraddizione: università eccellenti riconosciute a livello internazionale, ma un welfare studentesco che esclude tanti. È vero, si tratta inoltre di una grande frattura sociale. Quanti studenti vanno fuori corso e non terminano gli studi? Da questo punto di vista Roma non aiuta i fuori sede o i pendolari. Le famiglie fanno grandi sacrifici per iscrivere un figlio o una figlia nelle università prestigiose romane, ma non è detto, statisticamente, che la spesa valga l’impresa. Senza dimenticare gli atenei privati, dalla Luiss alla Gregoriana. Dal punto di vista dei settori della conoscenza l’offerta di Roma è notevole ed elevatissima, ma le condizioni per lavorare o studiare in questa capitale sono diventate sempre più difficili. E impone finalmente un dibattito pubblico sulla necessità di ricostruire il welfare, per lavoratori, lavoratrici, studenti e studentesse.
E il progetto di autonomia differenziata aumenta le disuguaglianze…
Noi lo avevamo capito fin da subito, fin dal 2018, e siamo sempre stati schierati contro ogni progetto di autonomia differenziata. Oggi stiamo raccogliendo le firme sul progetto di legge popolare. L’autonomia differenziata ci riguarda tutti. Il lavoro povero nel settore pubblico interessa tutti, non solo il nord. Le città metropolitane del centro sud condividono con le città metropolitane del nord lo stesso costo della vita, elevato ovunque. Il tasso di inflazione vale tanto per Milano quanto per Roma o per Bari, o per Cosenza. Un pacco di pasta di una celebre marca costa oltre 3 euro al chilo a Milano, come a Roma, come a Bari. E condividono anche quel fenomeno di nuova urbanizzazione che sta svuotando tanti comuni. L’aumento del costo della vita, con la riduzione degli spazi di welfare, colpisce tutti.
È per questo che Roma ha guadagnato il record storico alle Regionali del Lazio del 2023 con una partecipazione elettorale ferma al 35 per cento? Record negativo che contrasta con l’ampia partecipazione alle elezioni per le Rsu nelle scuole, nelle università e nei centri di ricerca…
Ciò che davvero pare inspiegabile è che l’ex assessore alla Sanità D’Amato, candidato presidente per il centrosinistra, aveva riscontrato una evidente simpatia popolare, per effetto di un buon lavoro realizzato durante la pandemia. L’ho riscontrato personalmente. La differenza di partecipazione tra il voto regionale e il voto per le Rsu deriva intanto dalla percezione per cui il rappresentante sindacale nei luoghi di lavoro rappresenta un enorme valore aggiunto, espressione di democrazia importante, nonostante gli elementi di sfiducia che pure hanno attraversato il sindacato. L’astensione dal voto politico qui nel Lazio, ma credo ovunque, colpisce soprattutto l’area della sinistra ed è figlia di un forte e diffuso disincanto, non solo verso la politica in sé ma verso la sinistra di governo. Inoltre, qui nel Lazio abbiamo avuto anche un grande problema generazionale: solo un under 35 su dieci ha votato per le Regionali. Che sta succedendo, dunque? La politica è sempre più distante dalle istanze e dai bisogni dei giovani, questa è la realtà. Questa distanza riguarda anche coloro che hanno governato. Diciamo la verità, il lavoro povero e precario che è tipico di queste nuove generazioni non induce certo a partecipare alla politica, o al sindacato, o alle urne. Le condizioni materiali di lavoro generano sfiducia nel futuro. Credo che oggi vada ripresa l’iniziativa di qualche anno fa sul nuovo Statuto dei lavoratori, proposta di legge della CGIL, la cosiddetta Carta dei diritti, depositata in Parlamento che però giace in qualche cassetto.
Ciò però mi porta ad una domanda sulla qualità dei bisogni cognitivi delle nuove generazioni e sul ruolo del pubblico. Il dato che vede la capitale d’Italia (del Sole 24 ore) tra le peggiori città italiane per qualità e quantità della lettura forse la dice lunga sulla necessità di aggredire perfino una sorta di analfabetismo di ritorno, magari sensibilizzando le tante biblioteche comunali e scolastiche. Non è anche questo il compito di un sindacato contemporaneo?
Intanto, conosco biblioteche scolastiche super fornite. Basterebbe aprirle alla comunità. Occorrerebbe un doppio movimento, della scuola verso la comunità e di quest’ultima verso la scuola. Invitare a leggere fa parte del welfare di una metropoli. Invitare le nuove generazioni a leggere libri è un compito che spetta a tutti noi. La lettura diventa un elemento politico e culturale decisivo per assumere una coscienza del mondo e della sua complessità, per darsi una visione critica, per vivere meglio. Forse dovremmo incidere di più come Flc, attraverso le nostre Rsu, i nostri delegati e le nostre delegate, rilanciando la sfida della lettura, anche in modo intergenerazionale, interculturale. A queste nuove generazioni mancano i maestri, ma mancano anche i libri.